Carlo che visse due volte: «Ho paura di ricordare»

La malattia, il coma, il buio e il risveglio. E finalmente il pianto liberatorio

“Sono nato due volte e in entrambi i casi ho pianto. Della prima volta non posso avere memoria, della seconda ricordo le lacrime che mi scendevano sulle guance, la prima sensazione vera del ritorno alla vita”. Carlo non è il primo che parla di quegli attimi che sanciscono la fine dello stato di coma e il ritorno in vita. 

SCIENZA E FEDE

Ma ogni racconto è come la manifestazione di un miracolo che la logica attribuisce alla scienza e che la fede rimanda a Dio. Carlo era un impiegato dello Stato, come tanti alle prese con la routine della vita quotidiana che come tanti ammortizzava con passioni divenute nel tempo ragioni di vita. Passioni condivise con la donna della sua vita e con amici selezionati, perché lanciarsi con il paracadute è una di quelle cose ancora adesso riservate a pochi e ammantate da riti che spesso sono il salvavita.

I PERICOLO NASCOSTI

Chi cerca emozioni forti, chi mette il coraggio davanti a tutto, rispetta il pericolo solo se lo conosce e lo vede. E talvolta le insidie più perverse nascono dentro di noi e si fanno strada pian piano, in silenzio e senza clamore. Ecco perché i sintomi di certi guasti al motore spesso sono già gravi non appena si manifestano. Allora comincia un altro tipo di lotta, serve sempre il coraggio ma il destino deve darti una mano, anche nel farti incontrare i medici giusti al momento giusto.

IL TEMPO DEL COMA

Il suo coma sembrava una variante inattesa, seppure non improbabile, nel percorso che con fiducia aveva intrapreso sotto la guida di quell’uomo appena qualche mese prima sconosciuto e adesso depositario dei segreti del suo corpo.

“Sapevo di poter morire, nessuno me lo ha mai nascosto sin dalla prima volta che abbiamo concordato un piano terapeutico. E sapevo che potevo non risvegliarmi quando mi hanno provocato il coma, anche se al momento del commiato ho preferito pensare a un arrivederci e non a un addio”.

ESSERCI E NON ESSERCI

Del sonno profondo nessun ricordo, nessuna sensazione di esserci e non esserci. Un bene, considerato che le sue condizioni sempre più gravi ad un certo punto non lasciavano molti spiragli. Da solo, isolato dal resto del mondo, unica compagnia il rumore dei macchinari fedeli sino alla fine della missione. I giorni dell’abbandono li ha vissuti l’amore della sua vita, mano nella mano come in quell’ultimo contatto concesso prima che la chimica facesse il suo dovere. La buona notizia era che il tempo giocava a suo favore. Un tempo infinito quando si è ridotti a corpo rigido. Poi la speranza che minuto dopo minuto si sostituiva alla disperazione, anche se il risveglio appariva ancora a dir poco incerto.

IL BUIO E LA VITA

“C’è stato un tempo in cui sentivo, fasi intermittenti alternate al buio. Non so se questione di secondi o di ore. Oggi parlarne fa parte del processo di liberazione da tutta la paura che mi ha investito al risveglio. Perché la cosa peggiore è quando il cervello comincia a lavorare e ti chiedi se ciò che vivi è reale o un sogno. Ho pensato di essere morto, forse perché è stato questo l’ultimo pensiero prima del coma. Quando ho percepito che dovevo abbandonarmi alle sensazioni che provavo ho cominciato a piangere, dentro di me a dirotto, in realtà poche lacrime

NON VOGLIO RICORDARE

Non un pianto liberatorio, né quello disperato del bambino appena nato. No, il mio era di commozione, solo dopo qualche ora diventò testimonianza di quella piccola consapevole felicità di non essere andato via. Del buio non ho memoria e di ciò mi ritengo fortunato. Già il risveglio è stato traumatico, non è come ridestarsi da un’anestesia. I suoni ovattati, talmente lontani da non sembrare veri, un vortice di emozioni, forse represse e forse memoria di qualcosa che non ho percepito sino in fondo. Dico la verità: ho paura anche di ricordare, di portarmi dietro la suggestione della morte, di ricostruire cose che preferisco restino misteriose. L’unica cosa che oggi mi dico è: eri morto e ora sei di nuovo vivo, goditi ogni singolo istante. E sì, si cambia. A quarant’anni non è contemplato il pensiero della morte, ma se te la presentano non può fare a meno di vedere. E capisci che, balorda per quanto possa a volte essere, la vita è il nostro tutto”.