Tre anni fa, Cristoforo Rubino, poliziotto della Squadra Mobile molto noto in città, non ce l’ha fatta. Il Falco ha spiccato il volo. Si è arreso a un male incurabile. Una foto lo ha reso celebre, mentre corre con l’arma in mano, i muscoli stretti nella camicia, gli occhiali da sole, i suoi lunghi capelli bianchi spostati dal vento e quell’espressione che sembra uscita da un film poliziesco. Cristoforo Rubino veniva da un film davvero, poliziotto leggenda, con tanta fama, uno di quegli agenti tutto azione: un uomo con la faccia da duro, ma che in realtà correva solamente dietro agli scippatori e contro la criminalità. Era un uomo da Volante, poliziotto della Squadra Mobile e dei Falco 65 bis, guardia del corpo di Giovanni Falcone e poi un soldato contro i banditi della mafia, rischiando la sua pelle «ogni giorno, ogni ora, ogni secondo», come ha scritto un suo collega, ricordandolo con disperazione sulla sua pagina di facebook: «Perché un altro così non nasce più».
Ha partecipato a molte operazioni antimafia mettendo le manette a molti mafiosi e latitanti (tra cui il boss della Kalsa Lauricella, detto “Scintilluni”), difeso la sua città da scippi, rapine e spaccio e di droga, ed è stato anche nella scorta di Giovanni Falcone. A 53 anni ha perso una battaglia più grande di lui, contro il cancro, che lo ha portato via in pochissimi mesi.
Era soprannominato “Hulk Hogan” dai colleghi, per la somiglianza muscolare con il noto campione del wrestling e per quel suo imporre la stazza per uscire dalle situazioni più difficili. Tra i mafiosi di vecchio corso all’interno di Cosa Nostra, Cristoforo Rubino era considerato uno di quelli che faceva “paura”: spaventare i prepotenti.
Tutti lo ricordano sempre come un uomo buono, altruista e pronto a dare una mano, diceva sempre “se mi chiami e mi dici che dobbiamo andare all’inferno, 5 minuti e arrivo”.
FOTO DI MICHELE NACCARI