Addio a Philippe Daverio, il professore con il papillon che dispensava cultura
Lo storico dell’arte si è spento dopo una lunga malattia presso l’Istituto dei Tumori di Milano. Aveva settantuno anni. A lui, il merito di avere divulgato l’arte attraverso il linguaggio televisivo
Il rapporto tra Philippe Daverio e la Sicilia ebbe inizio nell’ormai lontano 2006, quando lo storico e critico dell’arte, deceduto a Milano dopo una lunga battaglia contro il cancro, era diventato professore ordinario di Sociologia dei processi artistici presso la facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo.
Da quel momento, il docente con il papillon, la erre moscia – era nato nel 1949 a Mulhouse, in Alsazia, una regione della Francia orientale – e l’aspetto bohémien, legò alla città di Palermo anni molto significativi, costellati da episodi talvolta controversi, della propria vita professionale, al di là del ruolo svolto presso l’Ateneo: nel 2010, l’allora sindaco forzista Diego Cammarata lo volle consulente per il Festino di Santa Rosalia, Kals’ Art e altri grandi eventi.
Una collaborazione che, però, non ebbe modo di concretizzarsi poichè, proprio in occasione della processione laica dedicata alla Santuzza amatissima dai palermitani, nel luglio di quell’anno, il professore si dimise per via di un violentissimo alterco con alcuni senzatetto, culminato con lo sputo di una signora inferocita, convinta della necessità di stanziare le somme previste per la manifestazione a favore dei più deboli.
Un momento clou che svelò ai palermitani e non solo la vera visione del mondo di Daverio, sostenitore, invece, della necessità di abbandonare logiche parassitarie e assitenzialiste per abbracciare progetti innovativi di ampio respiro culturale.
Una posizione che divise in due l’opinione pubblica: da un lato, coloro che stigmatizzarono la brutalità della folla arrabbiata, dall’altro chi, invece, non perse l’occasione per sottolineare la discutibile estraneità di un personaggio come Daverio rispetto al ruolo di consulente dell’allora primo cittadino, forse il meno popolare e amato della storia di Palermo.
Certo è che il critico e storico d’arte ebbe un grande merito, del quale beneficiarono tutti gli italiani: riuscì a portare l’arte dentro le case, generando una curiosità molto legata al suo modo di essere e all’approccio utilizzato per spiegare le opere ; scelse sempre la definizione di storico dell’arte per se stesso, e in questo ruolo, si distinse sui Rai 3 come inviato speciale della trasmissione “Art’è” nel 1999 e, l’anno successivo, in qualità di conduttore di “Ar.tù” .
Abbracciò anche la carriera di autore, oltre a quella di conduttore, con “Passepartout”, programma di arte e cultura che il pubblico gradì molto, andato in onda dal 2002 al 2012: un successo anche in termini di critica; una doppia veste che indossò anche su Rai 5 nell’ eclettico “Emporio Daverio”, un itinerario attraverso le città italiane finalizzato a sensibilizzare la collettività sul tema della salvaguardia del patrimonio artistico, museale e naturale.
La sua attività culturale e divulgativa si declinava anche attraverso le sue riflessioni da opinionista in testate quali “Panorama”, “Liberal”, “Gente” e “Vogue”: si dedicò anche alla politica, ricoprendo tra il 1993 3 il 1997 il ruolo di assessore alla Cultura e alle Relazioni internazionali al Comune di Milano, guidato in quegli anni da Marco Formentini.
Nel 2019, fu protagonista di una nuova polemica con i siciliani, destinatari di alcune frasi poco lusinghiere, durante la trasmissione per eleggere il Borgo dei Borghi: schieratosi contro la scelta di designare Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, scelse Bobbio,nel piacentino, del quale divenne poi cittadino onorario.
Uno “scivolone” del quale si scusò pubblicamente, esaltando le qualità della maggior parte dei siciliani e specificando di essersi riferito a “pochi facinorosi”.