«Hijab, il velo e la libertà»: la presentazione del libro alla Casa della Cooperazione
Venerdì 11 settembre ore 18 la presentazione del libro alla Casa della Cooperazione
Venerdì 11 settembre alle ore 18 alla Casa della Cooperazione Palermo, via Ponte di Mare 45/47 sarà presente la coautrice del libro “Hijab, il velo e la libertà” Giorgia Butera, per la presentazione del testo scritto insieme a Tiziana Ciavardini con prefazione di Emma Bonino.
Quando, dopo due mesi di lockdown, la notizia si diffuse sembrò, finalmente, uno squarcio di luce tra tanti giorni bui. Silvia Romano, la giovane volontaria italiana rapita in Kenya, era stata finalmente liberata dopo 18 mesi nelle mani di un gruppo di jihadisti somali di Al-Shabaab. Un’euforia durata poco. È bastata l’immagine di lei che, nonostante l’orrore e la paura vissuti, sorridente usciva dall’aereo velata di verde perché l’Italia si dividesse. Una parte, commossa davanti all’infinito abbraccio con la mamma, all’inchino del papà e a quegli occhi felici. Un’altra, pronta a puntare il dito contro lo Hijab che le copriva il capo, contro la conversione all’Islam e il suo nuovo nome: Aisha, come la moglie favorita di Maometto.
Perché un velo fa ancora così tanta paura in Occidente? E perché, di contro, ci sono donne, nel mondo islamico, che lo indossano con orgoglio mentre altre lo vivono come una prigione? A stimolare la riflessione è “Hijab. Il velo e la libertà”, libro che Giorgia Butera (presidente di Mete Onlus, della Comunità Internazionale Sono bambina, non una sposa e dell’Osservatorio Internazionale Diritti Umani e Ricerca) e Tiziana Ciavardini (antropologa culturale, scrittrice e ricercatrice alll’Università Cinese di Hong Kong) firmano per Castelvecchi, con prefazione della senatrice Emma Bonino. Un viaggio tra storia e significati, sacre scritture e posizioni politiche, dalla clamorosa intervista di Oriana Fallaci all’Ayatollah Khomeini alle testimonianze dirette di chi il velo lo “vive” come segno identitario e di appartenenza e di chi al contrario ne scorge un mero simbolo di sottomissione femminile e lo subisce come le donne che tentano di ribellarsi in Iran.
“Abbiamo tentato attraverso una analisi socio‐antropologica di avviare una comune riflessione sul tema del velo islamico grazie a testimonianze dirette di chi quel velo lo riconosce quale segno identitario e di appartenenza e di chi al contrario ne scorge un mero simbolo di sottomissione femminile. Aldilà di ogni tipo interpretazione nell’utilizzo dell’hijab deve necessariamente esserci il totale e profondo rispetto verso quella libera scelta (o presunta tale) perché é essa stessa sinonimo di emancipazione femminile. Se così non fosse sarebbe solo violazione, coercizione ed imposizione nei confronti di donne che impotenti vittime passive, continuano ad essere ostaggio di una cultura maschilista e retrograda. Rimane, altresì, fondamentale per noi insistere sul concetto del velo quale libera scelta e mai imposizione”, affermano Butera e Ciavardini.
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