Il DDL contro l’omotransfobia e la misoginia è approdato in Aula, registrando, come era prevedibile, una forte spaccatura tra maggioranza e opposizione: da un lato, il provvedimento -del quale è relatore Alessandro Zan– ha incassato il favore del Partito Democratico e del Movimento Cinque Stelle e, dall’altro, il no di Fratelli d’Italia e Lega; tra i partiti del centro-destra, l’unico a mantenere una posizione di dialogo e di apertura è Forza Italia, che critica però alcuni punti.
Si tratta di una legge attesa da venticinque anni: la prima proposta, presentata dall’allora deputato Nichi Vendola, risale infatti al 1996.
Per Zan del PD, l’approdo alla Camera è “un successo”, oltre che un segnale di evoluzione culturale nella direzione di garantire a tutti pari dignità, ma l’opposizione è di tutt’altro avviso.
Per il senatore leghista Simone Pillon, il DDL rappresenta infatti “un testo liberticida e vergognoso”, una posizione condivisa da FdI che, attraverso la leader Giorgia Meloni, annuncia battaglia “contro una deriva che minaccia la democrazia e la libertà di pensiero”, in sintonia con la CEI, la Conferenza dei vescovi cattolici italiani, restia al riconoscimento dei diritti della comunità LGBT.
In sintesi, il testo della legge modifica gli articoli 604 -bis e 604 -ter del codice penale in materia di violenza o discriminazione per motivi legati sia all’identità di genere che all’orientamento sessuale: nello specifico, basandosi sulla legge Mancino del 25 giugno del 1993, è prevista l’estensione dei reati già legati agli episodi di odio fondati sull’omofobia e sulla transfobia, due termini che indicano rispettivamente l’ostilità esasperata verso gli omosessuali e i transessuali.
L’estensione della legge Mancino alle violenze contro gay, lesbiche e trasngender rappresentava il punto focale di un precedente DDL presentato nella scorsa legislatura dal deputato Ivan Scalfarotto.
Il sostanziale cambiamento riguarda, dunque, il fatto che ai reati legati alla discriminazione razziale, etnica o religiosa, si aggiungono ora quelli fondati sul genere, l’identità di genere e l’orientamento sessuale, prevedendo per essi il carcere.
La legge non si limita, dunque, alla difesa delle persone LGBT ma fornisce anche nuovi strumenti per contrastare il sessismo e la misoginia: un aspetto da non sottovalutare, alla luce del fenomeno, sempre più consistente, del femminicidio che si fonda appunto sull’odio nei confronti delle donne, bersaglio della violenza maschile; il DDL amplia la legge Mancino e mira alla tutela delle donne in quanto donne.
Oltre all’aspetto repressivo – le pene prevedono il carcere da 1 a 4 anni per chi istiga alla violenza omofobica e la reclusione fino a 1 anno e 6 mesi o una multa fino a 6 mila euro per chi promuove e diffonde idee fondate sulla discriminazione di genere – c’è anche quello culturale, poichè il DDL evidenzia la necessità di avviare un piano di formazione, grazie allo stanziamento di 4 milioni di euro, per organizzare dibattti e iniziative nelle scuole e finanziare i centri che svolgono attività di sensibilizzazione fornendo alle vittime assistenza sanitaria, legale e psicologica.
Tra le novità previste, anche l’istituzione di una Giornata nazionale contro l’omofobia, fissata per il 17 marzo, e comprende un articolo che regola le statistiche sulla violenza e l’esclusione.
Al di là della discussione in Parlamento, che non si profila affatto semplice e breve, è indubbio che in Italia ci siano ancora troppi pregiudizi nei confronti delle persone LGBT, non di rado oggetto di discriminazioni nel mondo del lavoro.
Una vicenda emblematica, in tal senso, è quella del noto attore catanese Leo Gullotta (nella foto) uno dei personaggi più apprezzati del cinema e dello spettacolo in Italia.
Malgrado il suo indiscutubile talento teatrale, televisivo e cinematografico e l’autorevolezza artistica – nella sua carriera ha vinto premi quali il Nastro d’argento e il David di Donatello- Gullotta, che nel 1995 ha dichiarato di essere omosessuale, in un’intervista rilasciata di recente a Il fatto quotidiano, ha raccontato un momento molto doloroso della propria vita professionale, ovvero l’esclusione da un progetto a cura della Rai nel quale avrebbe dovuto interpretare il ruolo di Padre Pino Puglisi, sacerdote palermitano di Brancaccio ucciso dalla mafia che non tollerava il suo impegno evangelico e sociale a favore della legalità.
Secondo Gullotta, reduce dal Taormina Film Fest del quale per la prima volta ha ricoperto l’incarico di direttore, il ruolo gli fu tolto perchè gay: il sospetto è che il Vaticano non avrebbe apprezzato la scelta di affidare a un omosessuale dichiarato l’interpretazione di un personaggio così importante per la Chiesa cattolica.
Secondo l’attore settantaquattrenne, che nel 2019 ha spostato il suo compagno storico dopo un fidanzamento lungo trent’anni, a porre il veto sarebbe stato un alto funzionario della Rai, probabilmente preoccupato per via delle possibili conseguenze di una scelta che, di certo, avrebbe segnato un cambio di rotta anche nella percezione collettiva del rapporto tra arte e omosessualità.