Leoluca Orlando si è dimesso. Ma nessuno se n’è accorto
Finito l’amore tra Palermo e il suo sindaco eterno. Ma tutti preferiscono che sia lui a sporcarsi le mani in questo momento di crisi della città
Si è dimesso Leoluca Orlando. È la notizia che in molti a Palermo vorrebbero commentare. E magari qualcuno anche scriverla, perché il tifo esiste anche laddove non dovrebbe. Orlando si è dimesso e nessuno se n’è accorto, molti dei suoi nemici – nemici non avversari, usiamo le parole giuste, per favore – sono talmente impegnati a gestire quei piccoli orticelli che dovrebbero portare risultati tra 2 anni che hanno perso di vista il senso della realtà.
Orlando s’è dimesso praticamente un minuto dopo la sua rielezione ultima, quando l’intelligenza, che è dote di pochi, gli ha fatto capire che per la prima volta Palermo l’aveva votato perché ritenuto il meno peggio. E con quale animo vai a letto con la tua bella – adorata e posseduta come fosse una schiava e che come una schiava si è lasciata prendere – se hai la consapevolezza di non essere più l’oggetto del suo desiderio? E che ogni orgasmo è una finzione, che magari racconti agli amici per scacciare quei dubbi che invece coltivi da tempo.
“Palermo sarà una città normale quando non avrà più bisogno di Orlando”. Anno 2017, parole e musica dell’infinito Leoluca, lo schema più paradossale e nello stesso tempo realistico che spiegava con semplicità il rapporto viscerale con la città di quest’uomo che ha elevato a mestiere il ruolo di sindaco. Basta però mettersi d’accordo sulla definizione di normalità, perché a casa mia una dichiarazione del genere ha sempre suonato come un editto di cesarismo più che come atto d’amore.
Palermo normale non lo sarà mai, lo testimoniano le nostre strade che sono simbolo della nostra cittadinanza, decorate dalla munnizza, con il cronico problema del trasporto pubblico, con la maleducazione e il sopruso inviolabili regole di vita e con le finzioni di progresso, tipo le piste ciclabili che determinano il posteggio delle auto a ridosso del centro della carreggiata.
Eppure questa Palermo anormale adesso pensa seriamente al suo futuro senza la presenza ingombrante del protettore Leoluca, salvatore invocato in almeno tre stagioni della sua storia e oggi pensionato da ripudiare seconda la triste e aberrante concezione che a 73 anni appena compiuti sei inadeguato a prescindere.
Proprio ieri era il suo compleanno, una ricorrenza quasi mai festeggiabile perché il tempo che passa è il primo nemico della immortalità presunta. Chi lo ama ne ha trasformato l’esuberanza rivoluzionaria della stagione post stragi in concentrato di saggezza e umanità in tempi di pandemie e migranti. Il Salvini di adesso come l’Andreotti di allora, basta saperselo creare eccellente il nemico da additare. Ma è durato il tempo di qualche titolo di giornale, perché Palermo non sarà mai normale ma nemmeno del tutto cieca. E peraltro la sua corte di governo non è più di primissimo livello come nelle stagioni d’oro e lo costringe a fare il maestro più che il capoclasse e a mandarne qualcuno fuori per scarso impegno. Lo costringe a fare il sindaco, insomma, a giocare da mediano, uno che mette legna (e distribuisce legnate), lui più propenso a fare il bomber che sfrutta gli assist dei compagni.
Un po’ se l’è cercata, un po’ ha perso il fiuto perché non s’è più visto un nuovo Francesco Giambrone o un nuovo Ettore Artioli e aumentano i rimpianti pensando a Giovanni Ferro o Alessandra Siragusa. È il destino di chi crede al tocco di Mida. È il destino di chi vive di ricordi, come testimoniano i ripescaggi infiniti di yesman buoni per tutte le stagioni, salvo poi scoprire l’amara verità da qualche intercettazione telefonica.
Palermo non ha prodotto granché, forse è anche vero. E forse anche per responsabilità del suo sindaco. Ma la voglia di stupire ha sovrastato il coraggio di osare. Ci sia perdonata un’altra metafora calcistica: il tunnel a centrocampo serve a strappare un applauso, ma al 90% è del tutto inutile. Osare significa farlo al limite dell’area, che se riesce minimo minimo è calcio di rigore.
Orlando s’è dimesso ma nessuno se n’è accorto perché in fondo conviene così, soprattutto a chi già pensa alla successione. Che se la faccia lui questa traversata del deserto, senza finanze da investire e senza gli spiccioli per gestire, ci pensi lui a contrastare il malcontento di un terziario alla canna del gas che cerca impossibili sponde nel Comune, se lo annachi lui il centurione che vive di ztl e pedonalizzazioni, si diverta per altri 2 anni in questa città ancora martoriata dai cantieri, duelli (ma solo a parole) con un’inciviltà che mortifica e che non trova sanzioni. E faccia i conti contando con le mani quelli che gli staranno accanto sino alla fine. Orlando s’è dimesso, ma fate silenzio che l’ultimo atto deve ancora cominciare.