Arresti domiciliari per un maresciallo dei carabinieri in servizio nel Trapanese e un consigliere comunale della stessa provincia, accusati di aver diffuso materiale segreto connesso con le fasi immediatamente successive all’arresto di Matteo Messina Denaro. Nel corso della nottata, in provincia di Trapani e a Milano, i militari dei comandi provinciali di Palermo e Trapani, supportati dai carabinieri del Comando Provinciale di Milano, hanno così dato esecuzione a due ordinanze di custodia cautelare. A disporle il gip del Tribunale di Palermo su richiesta della locale DDA. Si parla di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, aggravato dalla funzione di pubblico ufficiale, rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e ricettazione.
Nello stesso contesto, a Milano, i carabinieri hanno perquisito la casa del noto fotografo Fabrizio Corona. Attualmente questi è indagato, in stato di libertà.
Le investigazioni dei carabinieri di Trapani e Palermo si sono concentrate su una presunta fuga di notizie riservate, connesse alle fasi successive alla cattura del noto latitante Matteo Messina Denaro.
Gli indagati, secondo la ricostruzione investigativa dei Carabinieri e della Procura della Repubblica di Palermo, condivisa dal G.I.P., avrebbero tentato di divulgare, attraverso la pubblicazione su alcune testate giornalistiche on-line, alcuni documenti ancora coperti da segreto investigativo e inerenti le indagini sulle fasi immediatamente successive all’arresto del latitante. Verosimilmente carpiti dal maresciallo dei Carabinieri, sarebbero stati ceduti da questi al consigliere comunale il quale, probabilmente a scopo di lucro, li avrebbe proposti in vendita al noto giornalista milanese, che avrebbe poi realizzato degli scoop.
È doveroso rilevare che gli odierni destinatari della misura cautelare sono, allo stato, solamente indiziati di delitto, seppur gravemente. La loro posizione verrà vagliata dall’Autorità Giudiziaria nel corso dell’intero iter processuale e definita solo a seguito dell’eventuale emissione di una sentenza di condanna passata in giudicato, in ossequio al principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.