Al tempo del Covid, all’obitorio di Saronno con 50 euro si salutava il parente morto

Le indagini sono partite dalla segnalazione alla direzione sanitaria dell’ospedale di Saronno di un dipendente. Ai parenti dei morti per Covid, venivano chiesti 50 euro per vederli e dare l’ultimo saluto

Fra alcune aziende di pompe funebri e dipendenti dell’obitorio in servizio all’ospedale di Saronno (Va),  c’era un giro di mazzette che ha determinato 10 misure cautelari, compresi tre arresti, uno dei quali in carcere. Le indagini sono partite, come scrive il Corriere delle Sera, dopo la segnalazione alla direzione sanitaria da parte di un dipendente, nel 2020,  di una somma di denaro che sarebbe stata elargita da parte di un impresario di onoranze funebri del luogo ad un addetto all’obitorio, oggi in carcere. Questo episodio ha dato il via ad intercettazioni telefoniche e video e alla raccolta di testimonianze fra i dipendenti dell’ospedale. Per gli investigatori, sono almeno quattro i titolari di pompe funebri che elargivano denaro agli addetti dell’obitorio perché spingessero i parenti dei defunti alla scelta dell’impresa. Ma anche per mostrare ai familiari i morti risultati positivi al Covid.

Cinquanta euro per l’ultimo saluto ad un morto per Covid

Ai parenti che avevano subìto la perdita di un loro caro per Covid, venivano chiesti 50 euro per vederlo e consentire quindi l’ultimo saluto. Nonostante che, all’epoca dei fatti, durante i mesi autunnali del 2020, era assolutamente vietato dalle norme anticontagio. La stessa cifra veniva elargita dalle aziende di onoranze funebri a chi convinceva un “cliente” ad affidare a loro l’iter dei funerali. Nell’ordinanza gli inquirenti hanno spiegato che l’addetto ha mostrato “piena indifferenza e sfregio ai doveri correlati alla qualifica pubblica ricoperta” e incapacità nel “cogliere il disvalore e l’estrema gravità delle proprie azioni”. A spartirsi i compensi, secondo le indagini, era anche un’altra dipendente, ora ai domiciliari. Mentre altri due hanno solo il divieto di esercitare la professione per sei mesi, anche perché hanno collaborato alle indagini.

Altra indagine sui falsi certificati di malattia

! carabinieri durante l’inchiesta hanno anche aperto indagini su altri filoni. Il primo riguarda due medici di Ats accusati di fornire falsi certificati di malattia: l’uno a beneficio dell’altro perché potesse aiutarlo nel suo studio. Ma, su richiesta, anche ai pazienti. Per loro è scattata l’interdizione all’esercizio della professione per un anno. Il secondo filone riguarda altri due dipendenti della struttura scoperti a rubare materiale sanitario di proprietà dell’ospedale, per poi rivenderlo. Le ipotesi di reato, a vario titolo, sono corruzione, peculato, furto, truffa e falsità ideologica.