Antonio Macrì, un tassista di 34 anni, è finito in carcere con l’accusa di violenza sessuale. L’uomo si sarebbe appostato dietro a dei cassonetti, nell’ombra, appena fuori dall’università romana John Cabot, per tenere d’occhio le studentesse che uscivano o che si apprestavano a rientrare nei loro alloggi. Avrebbe individuato due vittime, e le avrebbe seguite, entrando in azione alla fine della serata, quando con la mente annebbiata dall’alcol non erano più in grado di difendersi. Le ha palpeggiate con insistenza e ha abusato di loro. Non si è fermato nemmeno quando una delle due, entrambe diciannovenni, gli ha scattato fotografie e ha immortalato le violenze in un video.
I fatti sono avvenuti a Roma il 14 ottobre scorso. Le ragazze hanno denunciato a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, e sono subito scattate le indagini degli agenti del commissariato Trastevere. A incastrarlo, oltre ai video delle ragazze, i filmati delle telecamere di sorveglianza dell’università, un testimone e alcune foto che l’indagato ha postato sui social. La violenza è avvenuta in viale Trastevere. Macrì è entrato in azione, da dietro, mentre una delle due amiche sorreggeva l’altra perché in preda a un malore. Nell’ordinanza con cui ha disposto il carcere, il gip ha sottolineato che Macrì ha studiato le vittime, calcolando i dettagli dell’aggressione. Il giudice ha scritto che Macrì «non ha esitato ad approfittare delle condizioni fisiche delle giovani che avevano evidentemente bevuto, come da entrambe dichiarato e come risulta dalle immagini acquisite, e che, dunque, con più fatica e meno lucidità avrebbero potuto opporsi all’aggressione».
Non è tutto: il tassista avrebbe abusato di entrambe le ragazze. «Non si è placato con la violenza perpetrata ai danni della prima vittima – ha annotato il gip – ma ha proseguito con l’altrettanto grave abuso in danno della seconda, e ciò nonostante la consapevolezza che la prima stesse registrando un video e scattando foto, a dimostrazione di un’assoluta e totale incapacità di controllo da parte dell’indagato dei propri istinti».
Foto libera di Anete Lusina