Assassinato 46 anni fa ma per lo Stato ‘Non è vittima di mafia’

Cade oggi, 18 giugno, la commemorazione di Calogero Morreale, sindacalista PSI di Roccamena. Il figlio Pietro: “Si faccia giustizia per la comunità e per la mia famiglia: mio padre è stato ucciso dalla mafia”.

Per i giornali dell’epoca – era il 18 giugno 1975 quando cadde vittima di un agguato – non c’erano dubbi: Calogero Morreale, uno dei più valorosi bracciantili della zona di Roccamena fu ucciso per mano mafiosa. A fargli tendere l’imboscata da un commando, nel cuore del triangolo della mafia delle campagne, quello compreso tra Castelvetrano, Corleone e per l’appunto Roccamena, furono gli agrari della zona.

L’ANALISI DEL GIUDICE BORSELLINO

Lo stesso giudice Paolo Borsellino, in merito al barbaro assassinio – il sindacalista stava tornando a casa da un piccolo appezzamento di terreno coltivato a vite di sua proprietà quando fu crivellato dai colpi d’arma da fuoco dei killer – scriveva. “A causa della sua intensa attività politico-amministrativa, espletata in un ambiente sociale ove i privati interessi vengono prepotentemente difesi da parte degli interessati a discapito del bene pubblico e in acerrimo conflitto con loro, Calogero Morreale aveva per certo con numerosi individui e nuclei familiari notevoli ragioni di contrasto. In special modo con riferimento alla regolamentazione dell’ attività urbanistico-edilizia e alla promozione di attività cooperativistiche, delle quali s’ era di recente ampiamente interessato».

Le colonne del quotidiano “L’Unità” del 20 giugno 1975

E’ TEMPO DI FARE CHIAREZZA

Eppure, oggi, a distanza di 46 anni, «Calogero Morreale non può essere considerato una vittima della mafia». Una dichiarazione che sa di beffa se non addirittura di paradosso. A maggior ragione considerato che a farla è il ministero dell’ Interno. La motivazione è semplice: “I colpevoli non sono mai stati trovati”. Tutto ciò in barba alla martellante, quanto meritoria per la comunità di Roccamena, attività del segretario della sezione socialista del paese. Denunciava i padrini e i politici collusi Morreale, fino al giorno che lo ammazzarono a colpi di lupara. Più lampante di così, verrebbe da dire. A corroborare la tesi ci sono poi le dichiarazioni del figlio Pietro. Oggi trentenne, ha deciso che è giunto il momento di dare risposte. Ciò affinchè venga a galla sia la verità per un territorio da sempre martoriato dalla mafia, che la giustizia per la famiglia Morreale.

LA RICERCA DELLA VERITA’

«Mio padre era il segretario della sezione socialista di Roccamena – racconta il figlio Pietro, ex assessore del paese – mio nonno Pietro era comunista e aveva fatto le battaglie con i contadini, per la terra» . E’ stato lui stesso a volere riaprire quel vaso di Pandora chiuso troppo frettolosamente. E lo ha fatto raccogliendo i giornali dell’ epoca. Ma anche chiedendo al Tribunale di poter leggere gli atti dell’ indagine che si concluse contro ignoti. Qualcosa ha trovato: «E’ un delitto contro il paese – scriveva su L’ Ora un grande giornalista, Nicola Volpes, alcuni giorni dopo l’ omicidio -. Un’ intimidazione per tutti, la scelta di un uomo che da anni era un emblema. Una bandiera attorno alla quale si riunivano quei consensi che non erano certo graditi a chi avrebbe voluto Roccamena ferma nel tempo, avulsa dalle idee nuove, dai rinnovamenti che cancellano i vecchi privilegi».

UN PO’ DI STORIA

Questo era accaduto a Roccamena: da due anni era stato rotto il monopolio dei notabili democristiani e la sinistra era arrivata al governo. Erano mesi importanti: «Il paese si trova a una svolta per il suo futuro sviluppo civile ed economico – spiegava ancora Volpes. La modifica del piano comprensoriale, il parziale trasferimento dell’ abitato che fu danneggiato dal terremoto della Valle del Belice, l’ estensione del vigneto per l’ incremento dei redditi agricoli. Battaglie per le quali – commentava il cronista – la famiglia dell’ ucciso ha avuto sempre una precisa collocazione politica. Impegnata sin dall’ immediato Dopoguerra nel movimento contadino e nei partiti di sinistra». Una posizione chiaramente invisa alla mafia della zona.

BORSELLINO: “IL MINISTERO DELL’INTERNO NON HA NEACHE LETTO GLI ATTI”

Il figlio del sindacalista ha tirato fuori da un polveroso archivio del palazzo di giustizia anche la sentenza dell’ allora giudice istruttore Paolo Borsellino che archiviava le accuse di favoreggiamento nei confronti di tre potenziali testimoni. Così scriveva Borsellino: « Pietro Morreale vuole chiedere adesso tutti gli atti dell’ inchiesta: «Secondo me – dice – al ministero dell’ Interno non li hanno neanche letti. Avevamo fatto istanza nel 1999, ci hanno risposto dopo quattro anni».