Una sentenza pronunciata nei giorni scorsi da Gianna Cipriani, giudice di pace di Sulmona, in Abruzzo ha stabilito che apostrofare una donna come “zo***la” non configura necessariamente il reato di diffamazione. Cinque anni fa la consigliera comunale Roberta Salvati si è presentata in aula mostrando un video su WhatsApp, in cui si vedeva il collega Bruno Di Masci, anche lui consigliere ed ex sindaco della città, insultarla durante una conversazione telefonica privata, usando termini non eleganti. Il caso ovviamente si è apostato dall’aula del consiglio comunale in quelle giudiziarie.
Venerdì, dopo un lungo iter è arrivata la sentenza di primo grado. La giudice di pace ha assolto Bruno Di Masci perché ‘il fatto non sussiste’. Con la motivazione che in quella occasione apostrofare la collega usando il termine “zo***la” aveva un significato più politico che diffamatorio.
Un’interpretazione che alla Salvati non è piaciuta affatto ed ha commentato: “Lo sconcerto per la pronuncia resa si accresce se si considera che proviene da una giudice donna. Non è forse violenza verbale riferirsi a una donna con simili espressioni? Cosa ci dice questa sentenza? Ci dice che una donna impegnata in politica, da oggi, potrà essere insultata con termini sessisti e denigratori senza conseguenze, il che è grottesco, oltreché inaccettabile”. La consigliera ha già annunciato che ricorrerà in appello e nel frattempo ha incassato la solidarietà della Lega, il partito alla quale si è unita da qualche anno a questa parte.
“Che un giudice, peraltro donna definisca un epiteto che ha una chiara connotazione come una metafora riferita alla sfera politica ci lascia quantomeno perplessi. La nostra solidarietà alla collega Roberta Salvati”, ha detto il coordinatore regionale della Lega Luigi D’Eramo. Dopo la sentenza Bruno Di Masci si è difeso affermando: “Nessun attacco sessista, dal momento che nel linguaggio politico quella parola viene spesso coniata anche per il genere maschile”.
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