Avvocato e donna boss: 15 anni per Angela Porcello nel processo Xidy

La professionista considerata uno dei capi dell’organizzazione mafiosa della provincia di Agrigento. Nel suo studio incontri di mafiosi

Nel processo Xidy, celebrato in abbreviato contro il mandamento mafioso di Canicattì e la nuova Stidda, il gup di Palermo Paolo Magro ha condannato a pene comprese tra 10 mesi e 20 anni mafiosi e professionisti accusati a vario titolo di associazione mafiosa. Sono stati condannati anche un poliziotto eun agente penitenziario che rispondevano, rispettivamente, di accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione di segreto d’ufficio. Quattro gli assolti. La maxi inchiesta  coinvolse anche l’avvocato Angela Porcello, che è stata condannata per mafia a 15 anni e 4 mesi. Secondo i giudici l’ex penalista ha gestito affari mafiosi. I pm nella loro requisitoria hanno detto: «Nel suo studio ha tenuto summit e messo insieme i capi mafia di diverse province e realtà territoriali per discutere di strategie e dinamiche. Una vera e propria consigliori e cassiera del clan». Insomma, avvocato e donna boss.

Il suo studio ritrovo per discutere di affari illeciti

Per anni Angela Porcello è stata una delle avvocatesse più rappresentative del foro di Agrigento. Era molto impegnata per difendere molti indagati in operazioni antimafia. Ma probabilmente il passaggio da legale difensore a personaggio «organico» a Cosa nostra è stato breve. Conviveva con Giancarlo Buggea, boss di Canicattì- Il suo studio era frequentato da indagati che si dovevano difendere in vari processi per mafia, che spesso si ritrovavano nello stesso posto, che,  secondo gli inquirenti,  era diventato un luogo di ritrovo per discutere di affari illeciti. Ma, soprattutto, era stata notata la nomina dell’avvocatessa a difensore di fiducia del boss ergastolano Giuseppe Falsone, che la donna, per motivi professionali, incontrava regolarmente in carcere.

La professionista avrebbe strumentalizzato la sua attività innanzitutto per incontrare il Falsone. Quindi non erano solo  visite professionali, ma anche uno stratagemma  per veicolare messaggi. Che dall’esterno erano indirizzati al capomafia,  ed altri che invece il boss destinava ai suoi sodali fuori dal carcere.