Blitz di Bagheria, le intercettazioni: «Lo scanniamo come un vitello»

I carabinieri a Bagheria hanno arrestato assieme ad altri sette Massimiliano Ficano presunto boss sul territorio palermitano. Hanno sventato l’omicidio di un uomo che si era ribellato

All’alba di oggi, a Bagheria i carabinieri del Comando provinciale hanno dato esecuzione a un provvedimento di fermo, a carico di 8 indagati, emesso su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Tutti sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione, lesioni personali aggravate, reati tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose. L’operazione, denominata ‘Persefone’, seguita da un pool di magistrati coordinati dal procuratore aggiunto, Salvatore De Luca, rappresenta l’esito di una complessa attività d’indagine sulla famiglia mafiosa di Bagheria. Ha consentito di fare luce sulla sua “perdurante operatività” ed ha subìto un’improvvisa accelerazione a causa di un progetto omicidiario recentemente pianificato dai vertici della famiglia. I boss, infatti, come si evince dalle intercettazioni, avevano deciso di ammazzare un pregiudicato locale, estraneo a Cosa nostra, ritenuto poco incline al rispetto delle ‘regole’ imposte dall’organizzazione mafiosa.

TRIPOLI, UN UOMO VIOLENTO

L’ordine di morte era stato “firmato” per Fabio Tripoli, finito oggi anche lui in manette per maltrattamenti in famiglia. Gli investigatori dell’Arma spiegano che il Tripoli, “apparentemente estraneo al contesto mafioso”, era spesso ubriaco e intemperante. Non sapendo di essere intercettati, i boss si lamentavano del suo comportamento. Dicevano che era un uomo violento, che aveva picchiato il padre “a colpi di catena” ed anche la compagna. «L’ha spogliata tutta, in mezzo alla strada…», raccontava Giuseppe Cannata, uno dei fermati, al capomafia Massimiliano Ficano, aggiungendo: «Sono arrivato io. Gli ho detto “oh, pezzo di scafazzato che sei! Ma dignità ne hai? Ora prenditi le cose e vattene”.» Un ammonimento che era servito ad allontanarlo solo per un pò di tempo. Poco dopo, infatti, Cannata era stato raggiunto da una telefonata. «Qua c’è quello… e sta scassando tutto». A quel punto era chiaro che ci voleva una lezione. Il boss aveva chiamato un suo cugino per dirgli: «Devi andare da quel cornutazzo e me lo devi ammazzare a bastonate». Però quella volta il tentativo di pestaggio quella volta non andato a buon fine, perché Tripoli si era allontanato.

PER TRIPOLI ORGANIZZATO UN ALTRO PESTAGGIO

Ma il pestaggio era stato solo rimandato. La spedizione punitiva infatti avvenne il 19 agosto scorso. Tutto fu programmato nei minimi particolari, anche perché Tripoli pareva proprio non aver capito la lezione. «E’ una spazzatura di persona, proprio è un’immondizia di persona», diceva Cannata in una intercettazione, e Ficano annuiva. «Ora lui si deve levare il vizio di camminare». «Questo si deve “struppiare” e basta», diceva il capomafia. Bisognava portarlo in campagna. »E se non viene ci andiamo a casa», diceva uno degli indagati. L’appuntamento era dopo pranzo. «Quando si deve fare sto coso?». «Dopo mangiato. Prima mangiamo… Non dobbiamo mangiare per lui?», dicevano i mafiosi fra loro. Il capomafia Ficano non lo sopportava più: «Non se ne può più di questo. Mi nomina anche a me. Io non l’ho capito, nemmeno so come è fatto. Gli rompiamo le gambe e lo andiamo a buttare…», diceva. E il suo interlocutore gli rispondeva: «No, prima gli devo rompere la faccia… prima gli devo dare cinquanta pugni in faccia che gli devo fare venire le crisi».

IL PESTAGGIO DI TRIPOLI

Il piano iniziale di picchiare Tripoli in una campagna vicino Bagheria era andato in fumo. La vittima aveva sospettato qualcosa e aveva declinato un’invito a una scampagnata. Un rifiuto che non era servito a evitargli la lezione. Fu pestato davanti casa, con un tirapugni. «Quello gli ha aperto tutta la testa», raccontava poi Giuseppe Cannata al capomafia, spiegando di aver detto alla vittima di rientrare a casa e di ringraziare il Signore che gli era finita bene. «L’ho guardato e gli ho detto “Ora stai zitto che ti è finita bene, infilati dentro!”».«Lo hanno macinato tutto… L’ambulanza se lo è andato a prendere». Un avvertimento per dirgli che ci sarebbe stato un ulteriore pestaggio se lui non avesse capito il messaggio. «Ora appena lui non lo vuole capire gli ho detto, gli ho detto questo… appena non lo vuole capire lo lasciamo nella sedia a rotelle…». Ficano tagliava corto: “Perché ora così deve andare, le bontà non pagano, chi sbaglia paga!”. Lo avevano selvaggiamente picchiato in sei, provocandogli un trauma cranico e uno alla mano.

TRIPOLI ANDAVA DICENDO CHE SI VOLEVA VENDICARE

Pare che Tripoli, invece, non avesse capito la lezione. Si era armato di un’ascia, e andava in giro a Bagheria dicendo di essere pronto a vendicarsi. E a dare fuoco a un locale inaugurato da poco dallo stesso Ficano, mettendo quindi in discussione la sua autorità. Un affronto a cui il capomafia era pronto a rispondere. Ma bisognava agire in un luogo isolato lontano da occhi indiscreti. Per poi abbandonare la vittima sul posto o all’interno di un cassonetto di rifiuti. Serviva la massima riservatezza. Infatti il boss, in una intercettazione, raccomandava al suo interlocutore: «Però non lo dobbiamo fare sapere a nessuno. Che ci fanno prendere l’ergastolo, hai capito?». Aggiungendo anche che nel caso in cui dovesse succedere qualcosa a «qualcuno di noi, chi resta fuori e non lo… Esce e gli ammazza la famiglia». Ma stanotte il blitz a Bagheria dei carabinieri del Comando provinciale di Palermo ha sventato l’omicidio.