Boss mafioso al 41-bis: «Giudice, allontani mio figlio da Catania. Lo salvi»

La lettera del boss al figlio: «Non mi considerare un mito, ma un fallimento». Il ragazzo si trova adesso lontano da Catania

carcere

Il destino di un ragazzo di soli 14 anni sembrava segnato: già si era candidato nel quartiere a prendere il posto del padre, un boss mafioso detenuto al 41 bis. Ma questa volta le cose sono andate diversamente. Ha vinto l’amore del genitore per il proprio figlio. Il minorenne è stato allontanato dalla sua città, Catania, per essere affidato a una comunità protetta fuori dalla Sicilia con il progetto «Liberi di scegliere». Perché ciò potesse avvenire, il boss aveva chiesto aiuto al presidente del Tribunale di Catania, Roberto Di Bella, durante un colloquio previsto dalla legge. «Dottore, la prego ─ gli aveva detto – tenga lontano mio figlio da quel maledetto quartiere».

«NON MI CONSIDERARE UN MITO, MA UN FALLIMENTO»

Racconta Robero Di Bella: «Durante il colloquio, mi ha parlato della sua sofferenza. Mi ha raccontato del dolore che prova nel non potere abbracciare i suoi figli. Può incontrarli esclusivamente dietro al vetro blindato del 41 bis». Il giudice ha accolto la richiesta del boss. «Gli ho proposto ─ ha detto ─ un “patto educativo”, per evitare a suo figlio la sofferenza che sta provando lui». Il ragazzino adesso si trova al sicuro, lontano dal suo quartiere e dalla sua città. E potrà crescere nella legalità, quella stessa che il padre gli ha raccomandato di seguire, non ricalcando suo esempio. In una lettera gli ha scritto: «Rispetta tutte le indicazioni che ti danno in comunità. E, soprattutto, non mi considerare un mito, ma un fallimento».

L’IMPORTANZA DELLA COLLABORAZIONE TRA ISTITUZIONI E SOCIETÀ CIVILE

Il presidente del tribunale di Catania ha sottolineato l‘importanza della cooperazione tra le istituzioni e la società civile. Magari partendo «dalla scuola e dal tempo prolungato, anche alla luce del fatto che in città «la dispersione scolastica ha livelli preoccupanti, arrivando al 22 per cento dei minorenni fra i 6 e i 16 anni». E quando i ragazzi abbandonano precocemente la scuola, si sa, c’è un rischio abbastanza alto che possano finire in brutti giri, complici le scarse possibilità di inserirsi nella società, dal punto di vista lavorativo. Da qui l’idea per un’altra iniziativa: chi non manda i figli a scuola perderà il “Reddito di cittadinanza” e gli altri sussidi legali alla scolarizzazione. Il Tribunale ha già fatto le prime segnalazioni all’Inps.