«La mafia è una montagna di merda», una frase che ci riporta subito alla mente il giovane giornalista e militante di Democrazia Proletaria Peppino Impastato, ucciso per mano mafiosa il 9 maggio del 1978. Fu assassinato in un casolare sito nelle campagne di Cinisi. Il suo corpo fu poi portato vicino ai binari del treno del paesino nel palermitano e fu fatto saltare in aria con una carica esplosiva. Il tritolo cominciava a fare la sua tragica comparsa nelle mani dei mafiosi.
Gli amici e il fratello, che si erano messi alla ricerca del giovane giornalista, non trovarono il suo corpo ma i suoi resti sparsi qua e là, in un raggio di 300 metri, nella campagna desolata di Cinisi. Inizialmente si disse che si trattava di un suicidio. Ma chi conosceva Impastato sapeva bene che non poteva essere così. D’altronde Giuseppe era conosciuto in paese per la sua lotta contro la criminalità organizzata e contro il malaffare, che manifestava a gran voce dai microfoni della sua Radio Aut, nonostante provenisse egli stesso da una famiglia mafiosa. Non era pertanto difficile ipotizzare che si trattasse di un vile omicidio. Dalle frequenze di Radio Aut partivano ogni giorno denunce verso i crimini e gli intrallazzi della piovra, che nella sua zona era rappresentata da Don Tano Badalamenti, che nel 2002 – dopo “soli” 24 anni – fu riconosciuto come il mandante del suo omicidio.
Emblematici, dopo la sua morte atroce, l’elezione al Consiglio Comunale di Cinisi, che i suoi concittadini gli regalarono segnando il suo nome nelle segrete cabine elettorali, e la scelta difficile della madre, Felicia Bartolotta, e del fratello Giovanni, di fondare il Centro Impastato, che prese, di fatto, le distanze dalla cultura mafiosa di Impastato marito e padre.
Il covid-19 ha interrotto i soliti appuntamenti del 9 maggio a Cinisi. Non ci saranno dunque le classiche manifestazioni e le celebrazioni. Non si interrompe, e non si può interrompere, però, il ricordo di questo eroe moderno, che ha detto no, con forza e determinazione, alla prepotenza del potere mafioso. Anche se non bastò la sua morte, da sola, a dare una scossa forte ai siciliani. Ci vollero tanti anni ancora e tanti altri sacrifici umani di grandi eroi e di onesti “soldati”, per scuotere le coscienze e per far reagire la parte sana, ovvero quella più numerosa, della nostra Sicilia.