Condannato a 6 anni per aver ucciso la moglie malata: “È stato altruista”, hanno detto i giudici
Marito e moglie avevano vissuto insieme 45 anni, e lui l’aveva assistita con dedizione fin dal primo manifestarsi della malattia nel 2016
Il 74enne Franco Cioni a Vignola, nel Modenese, uccise la moglie durante la notte del 13 aprile 2021, soffocandola con un cuscino nel sonno. Laura Amidei, 67 anni, soffriva da tempo per una grave malattia. Dopo esserle stato vicino per diverso tempo, l’uomo aveva deciso di porre fine alle sue sofferenze, e poi si era auto-denunciato, confessando, fin dal primo momento, di aver compiuto il gesto mosso da un sentimento di profonda compassione nei confronti della donna, malata terminale: “Non potevo più vederla così”, ha spiegato l’uomo ai giudici. Era stata la stessa moglie, in passato e agli esordi della malattia, a dirgli che non voleva essere portata in una casa di riposo.
I due avevano vissuto insieme 45 anni e Cioni, come hanno ricostruito anche le testimonianze raccolte, aveva assistito la moglie fin dal primo manifestarsi della malattia nel 2016 “con assoluta costanza e inesauribile dedizione”, con presenza giornaliera in ospedale e poi in casa, al limite delle proprie forze.
“L’omicidio è avvenuto con ‘modalità consone allo scopo’”
La Corte di assise di Modena ha riconosciuto all’imputato l’attenuante dei motivi morali e sociali, condannandolo a sei anni e due mesi. Nel giudicare il caso di Francio Cioni, il giudice ha detto che non si può considerare il gesto isolatamente “rispetto a tutta la condotta anteriore osservata dall’imputato nella dedizione, nella vicinanza e nel sostegno umano assicurato alla propria consorte per tutta la sua lunga malattia”. Nelle motivazioni della sentenza di condanna all’anziano, è spiegato anche di aver tenuto conto che l’omicidio avvenne con “modalità consone allo scopo”, cioè con un cuscino e mentre la donna stava dormendo”.
Altruismo dalle testimonianze: la vittima prossima all’esito letale
“L’altruismo” di Cioni – ha sottolineato ancora la Corte nelle motivazioni -, testimoniato dal medico che aveva in cura la donna, dalla sorella della vittima e dai conoscenti, riflette un sentire sociale ormai sempre più presente in larghi settori della società civile che hanno vissuto o sono chiamati a vivere la drammaticità del fine vita di loro congiunti all’esito di malattie irreversibili. Sempre più propensi a riconoscere nella condotta osservata dall’imputato la manifestazione di uno stato affettivo di amore pietoso che trova la propria legittimazione interiore nella lunga e assoluta compartecipazione emotiva per le sofferenze della vittima, ormai deprivata di ogni condizione di vita relazionale per l’incedere della malattia e l’ormai prossimo esito letale”.