Contrae un’infezione dopo un intervento, il Policlinico di Palermo costretto ad un risarcimento di 200mila euro

Dopo la condanna in primo grado, l’Azienda ospedaliera universitaria ha deciso di non presentare alcun ricorso, facendo così divenire la sentenza definitiva.

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Il Policlinico di Palermo costretto a pagare un risarcimento da 200 mila euro ad un proprio paziente, il quale subì un intervento contraendo, però, una grave infezione alle ossa, particolarmente invalidante. Dopo la condanna in primo grado, l’Azienda ospedaliera universitaria ha deciso di non presentare alcun ricorso, facendo così divenire la sentenza definitiva. Il risarcimento è stato stabilito per un danno cosiddetto «da malpractice». In questi casi la legge impone l’obbligo di risarcire il danno, che scaturisce dall’inesatto adempimento della prestazione clinico-assistenziale.

L’uomo subì l’intervento costellato da alcuni errori medici durante il quale contrasse l’osteomielite, un’infezione che colpisce le ossa e che è causata principalmente da batteri o altri germi. Il paziente, nel subire un intervento chirurgico per una frattura, avrebbe contratto questa infezione in seguito all’innesto di protesi, stando a quanto emerso.

Le parole di Maria Grazia Furnari

Il commissario straordinario dell’Azienda ospedaliera del Policlinico, Maria Grazia Furnari, ha preso atto dell’esito del procedimento in tribunale e della relativa condanna, deliberando la liquidazione della somma riconosciuta quale risarcimento, con interessi maturati e spese legali: «È stata ravvisata – scrive – la necessità di dare l’immediata esecuzione, al fine di evitare la maturazione di interessi e l’avvio di azioni esecutive». Una presa di posizione arrivata anche sulla base del parere dell’Avvocatura dello Stato, che ha difeso in questo processo il Policlinico. Rispetto a quanto stabilito nella sentenza, ha sostenuto che non vi sono «utili motivi di impugnazione». Il giudice, nel condannare l’azienda sanitaria, ha tenuto conto della relazione dei periti nominati in qualità di Ctu (consulente tecnico d’ufficio), che hanno esaminato il caso: «È possibile riconoscere – fu scritto – un valido nesso di causalità tra l’infezione osteomielitica patita dal ricorrente e gli atti chirurgici cui lo stesso fu sottoposto presso l’azienda resistente».

Il tribunale, nell’emettere sentenza di condanna, sostenne proprio che «le conclusioni rassegnate dai Ctu» erano «supportate, oltre che dai necessari rilievi di competenza specifica, da un percorso argomentativo lineare e rigoroso» e che dunque «alla luce delle argomentazioni risulta, quindi, fondata, sotto il profilo dell’an debeatur (espressione giuridica in latino che indica l’esistenza di un diritto, ndr) la domanda risarcitoria».

Tutte le motivazioni iniziali dell’opposizione dell’azienda sanitaria alla richiesta di risarcimento furono respinte, dal quantum preteso fino alla contestazione dei tempi della richiesta. A B.E., difeso dall’avvocato Giuseppe Emanuele Greco, è stato riconosciuto a causa di questa infezione il 30 per cento della riduzione dell’integrità psicofisica associata alle menomazioni. Tali infezioni comportano una serie di fattori di rischio nell’immediato e nel tempo: dal diabete all’insufficienza renale, ma anche vasculopatia periferica e lesioni cutanee, oltre che deficit congeniti o acquisiti del sistema immunitario.

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