“Il Corvo di Palermo”, giallo tra storia e misteri nella lotta alla mafia

Il libro ripercorre la vicenda giudiziaria del magistrato Alberto Di Pisa, accusato di essere l’autore di alcune lettere anonime

condanne

Il Palazzo di Giustizia di Palermo

Il Corvo di Palermo“: è il titolo del libro scritto a quattro mani da due giornalisti lombardi, Matteo Zilocchi e Riccardo Rosa, pubblicato da Glifo Edizioni.
Centosettantotto pagine che liberano dalla polvere del tempo un caso ormai quasi dimenticato.
Sono trascorsi infatti trentadue anni da quando il magistrato Alberto Di Pisa fu protagonista di una delle tante pagine oscure della storia italiana.
Nello specifico, l’opera riporta alla memoria “l’estate dei veleni” che devastò il Palazzo di Giustizia di Palermo.
Un pezzo fondamentale nella storia della lotta alla mafia in Sicilia, raccontato mirabilmente dai due autori che riescono a fare immergere il lettore nella torbida atmosfera del periodo.

Antonio Di Pisa, storico oppositore del "metodo Falcone"
Antonio Di Pisa, storico oppositore del “metodo Falcone”

IL FATTO

Palermo, anni ottanta: la mafia è potentissima e miete indisturbata vittime tra giornalisti, magistrati, poliziotti e carabinieri.
Il 1989 è l’anno di quella ‘”estate dei veleni” in cui “il Corvo” imbuca sei lettere anonime indirizzate alle più alte cariche della Repubblica.
Il clima è pesantissimo: nello specifico, si accusa Giovanni Falcone di aver trasformato il pentito Salvatore Contorno in un killer di Stato per stanare Totò Riina, il capo dei capi di Cosa Nostra.
Il rischio è la fine del maxiprocesso.
Poco dopo, cominciano a circolare con insistenza le insinuazioni sull’autenticità dell’attentato nella villa del giudice all’Addaura.

Il libro ripercorre gli anni più torbidi della lotta alla mafia in Sicilia
Il libro ripercorre gli anni più torbidi della lotta alla mafia in Sicilia

GIUDICI CONTRO GIUDICI

L’obiettivo è la delegittimazione degli uomini impegnati a contrastare la mafia.
Si mira a isolarli attraverso una strategia messa a punto da menti raffinatissime, tra vendette e interessi coincidenti.
Una trama criminale oscura e micidiale che si traduce in un tentativo perfettamente riuscito.
All’alba della stagione delle stragi, inizia infatti un estenuante calvario mediatico e giudiziario.
Senza dubbio, uno dei momenti più bassi della giustizia italiana: magistrati contro magistrati, Palazzi infetti, sussurri e pettegolezzi, storie di ieri e di oggi.
Vicende di mafia e servizi segreti in cui si fatica a distinguere buoni e cattivi.

UNO SCOOP SENZA PRECEDENTI…FORSE

Il giornalista Pietro Calderoni battezzò come “il Corvo” l’autore delle lettere anonime.
Fu proprio l’inviato di Epoca a indicare il sospettato: Alberto Di Pisa, che non aveva mai nascosto di non condividere i metodi investigativi del collega Giovanni Falcone.
Il “metodo Falcone”, che aveva rivoluzionato l’approccio della giustizia italiana al fenomeno mafioso, a molti magistrati non piaceva affatto.
Alcuni ritenevano che la giustizia dovesse perseguire i singoli reati e non l’attività criminale complessiva di Cosa Nostra.
Altri stigmatizzavano la popolarità di colleghi finiti sotto i riflettori.
Si sospettava che proprio Alberto Di Pisa fosse anche l’autore di lettere anonime scritte in passato contro altri magistrati.
Lo scoop di Pietro Calderoni riguardava l’impronta digitale di Alberto Di Pisa che Domenico Sica, alto commissario antimafia – uno dei destinatari delle missive del Corvo – con un trucco era riuscito a ottenere.
Dal confronto con quella ritrovata sulla lettera anonima che aveva ricevuto, emergeva senza dubbi che le due impronte fossero identiche.
Almeno da un primo esame.
Quando la rivista andò in stampa, ecco giungere dai laboratori dei Servizi la doccia fredda: non si era più certi che le due impronte appartenessero allo stesso soggetto.
Forse sì, forse no.

ALBERTO DI PISA, DALLA CONDANNA ALLA PIENA ASSOLUZIONE

Una “prova regina” diventata claudicante che tuttavia non impedì, il 22 febbraio 1992, la condanna del giudice in primo grado.
Neanche un mese dopo, l’assassinio del democristiano Salvo Lima e poi, in rapida successione, le stragi in cui morirono Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti di scorta dei due magistrati.
Dopo questo bagno di sangue, il 14 dicembre 1993 la Corte d’Appello di Caltanissetta ribaltò la sentenza di primo grado.
Tuttavia l’assoluzione di Alberto Di Pisa non risolse il mistero.
“Il Corvo” era proprio lui o, come alcuni sospettano, qualcuno della Polizia di Stato?
Quest’ultima era infatti spaccata in due tra i sostenitori di Gianni De Gennaro, che stava con Giovanni Falcone, e di Bruno Contrada, che invece era contrario al maxiprocesso.
Ai lettori il compito di farsi un’idea propria, tenendo conto che si parla della Sicilia, la terra di Luigi Pirandello.