Cosa si cela dietro il trasferimento di un autista Ast?

I cambi di sede e il demansionamento dopo una diagnosi clinica di inidoneità a quel lavoro. E l’inevitabile ricorso al tribunale

autista

Talvolta le vertenze di lavoro, intrise di tecnicismi e interpretazioni fanno passare in secondo piano alcuni aspetti fondamentali. Primo fra tutti che dietro la parola ricorrente c’è un essere umano. Un essere umano contro un’entità giuridica, uno scontro impari sotto il profilo delle motivazioni come è facile comprendere.

Il caso di Marco Bianchi (nome di copertura), autista dell’Azienda Siciliana Trasporti è emblematico. Una diagnosi clinica rivela che non è più in grado di svolgere temporaneamente il suo lavoro. L’azienda correttamente ne prende atto e lo destina ad altro incarico. Fin qui tutto normale, perché in questa maniera il datore di lavoro non si priva di una risorsa professionale e il lavoratore può proseguire con dignità il suo percorso di lavoro.

Bianchi viene destinato ad attività di controllo dei titoli di viaggio nella sede di Gela. Il lieto fine – è proprio il caso di sottolinearlo attraverso una digressione di tipo familiare – viene addirittura sancito dal matrimonio dell’ex autista. Tutto a posto? Ma neanche per idea, l’illusione dura poco. Perché Bianchi viene dichiarato dalle autorità sanitarie non più in grado di fare l’autista. Per sempre, non temporaneamente. Ed è a questo punto che l’Ast prende la decisione di trasferire Bianchi a Trapani, ben lontano dalla precedente sede di Gela.

Ma come, finché l’indisposizione è temporanea si lavora in un posto e quando diventa definitiva si va in un altro? Domanda che si farebbe l’uomo comune e che anche gli avvocati del lavoratore si fanno. Il sospetto sottinteso sarebbe che il trasferimento ad una sede distante centinaia di chilometri dalla precedente abbia un sapore punitivo, anche perché a supporto arrivano le indicazioni degli stessi legali.

Questi rilevano che proprio a Gela e per le mansioni precedentemente svolte da Bianchi, l’azienda farebbe ricorso a lavoratori interinali. Quindi il bisogno di figure professionali c’è, perché non confermare Bianchi? E’ il quesito al quale dovranno dare risposta i giudici. Il ricorso è stato inoltrato con procedura d’urgenza e quindi si resta in attesa della ormai prossima sentenza.

Ma torniamo all’inciso dell’introduzione, il ricorrente è un essere umano che ha nome, cognome e progetti di vita. Non chiede scorciatoie, ma solo di potere lavorare nella sede dove ha deciso di impiantare la propria famiglia. Se l’azienda ha – come sembra – questa opportunità perché negarla? Perché regolare il contenzioso con una sentenza? Forse i motivi ci saranno anche, ma leggendo le carte del ricorso non sembrano individuabili. Sarà un nostro limite, o magari il limite di una giurisprudenza in cui una parte mette in gioco tutto – dal denaro delle parcelle a un progetto di vita – e l’altra pressocché niente.