Giuseppe Antoci è l’ex presidente del Parco dei Nebrodi. Colui che con il suo protocollo antimafia divenuto poi legge nazionale, ha smantellato il sistema delle truffe sui fondi europei. “Danneggiando” quindi la mafia dei Nebrodi e la ‘ndrangheta calabrese, che per anni avevano incassato miliardi di euro pubblici senza alcuna fatica. Per questo il 18 maggio 2016 la mafia tentò di ucciderlo con un attentato, dal quale riuscì a salvarsi grazie alla sua scorta e all’auto blindata sulla quale viaggiava.
Adesso per l’ex presidente del Parco dei Nebrodi arrivano da Cosa nostra nuove minacce di morte. L’allarme è scattato a distanza di sei anni dall’attentato sui Nebrodi, conseguente anche ad una recente inchiesta della Distrettuale antimafia di Messina e della Procura di Patti. In tante intercettazioni alcuni esponenti della famiglia mafiosa dei Batanesi hanno detto apertamente che bisogna eliminare Antoci. E non mancano segnali precisi da chi si trova ristretto al “41 bis”. C’è una frase dal significato inequivocabile, pronunciata da Francesco Mica Conti appartenente al clan mafioso dei Batanesi. Una affermazione che dimostra l’esistenza di un mandato chiaro ad uccidere Antoci, e che può essere eseguito da chiunque si trovi sul territorio: «A Peppe Antoci non l’hanno voluto ammazzare, però quando escono i miei parenti dal 41 bis lo ammazzano».
Recentemente in tempi molto recenti sono emersi segnali sulla stessa linea, molto precisi, provenienti da organizzazioni calabresi. Anche in quella regione il Protocollo Antoci ha avuto i suoi effetti disastrosi per le ‘ndrine: infatti ha azzerato guadagni illeciti per milioni di euro, che duravano indisturbati da decenni. Dopo queste minacce, per Antoci e per i tutti i suoi familiari sono state rafforzate le misure di sicurezza, con un monitoraggio costante e incrociato h24 da parte di più forze dell’ordine.
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