Calcio

Dal giallorosso del Messina all’azzurro della Nazionale: la storia di Totò Schillaci, eroe di Italia 90

La notizia della scomparsa di Totò Schillaci, per quanto fosse già nell’aria (visti gli aggiornamenti poco confortanti che arrivavano dal Civico di Palermo circa le sue condizioni di salute) ha lasciato tutti senza fiato e colmato il cuore di sportivi, e non, di un senso di profonda e assoluta tristezza. L’ex calciatore di Juventus ed Inter, ricordato soprattutto per le “notti magiche” di Italia ’90 se n’è andato a 59 anni, a seguito di un tumore al colon che gli era stato diagnosticato un paio di anni fa e che, in un primo momento, si pensava fosse stato debellato. Lo stesso si è ripresentato però nella sua forma più aggressiva pochi mesi addietro, fino a renderne indispensabile il ricovero ospedaliero.

“Aveva una voglia di fare gol che non ho mai visto in nessuno” – disse di lui l’allenatore Franco Scoglio che ebbe modo di allenarlo al Messina. Sicuramente la stessa voglia che Totò aveva ancora di vivere, ma che non è bastata a salvarlo da un destino che aveva scritto per lui un finale diverso. Negli occhi, e nei lineamenti spigolosi del suo viso, Schillaci palesava tutta la durezza, e al contempo la fierezza del suo essere palermitano.

La sua non fu un’infanzia facile. Cresciuto in una famiglia umile del quartiere Cep, iniziò ben presto a lavorare negli ambiti più disparati: gommista, garzone di pasticceria, ambulante. Si improvvisò in tutto pur di portare qualche soldo in più in casa. Nel frattempo coltivava però la sua grande passione per il calcio che lo portò ad ottenere negli anni il suo riscatto sociale, fino ad elevarlo ad emblema di questo magnifico sport. Una favola scritta con umiltà e sacrificio, pagina per pagina, capitolo dopo capitolo. Una storia che ha saputo appassionare e conquistare milioni di cuori, e riempito d’orgoglio la città di Palermo che con lui, e in lui, ha trovato un simbolo di rivalsa.

Dalla maglia del Messina a quella azzurra della Nazionale

La carriera di Schillaci comincia a poco più di 200 km da casa. Cresciuto nelle giovanili dell’AMAT Palermo, il suo destino infatti non si colorò di rosanero per una manciata di milioni. Doveva arrivare giovanissimo insieme a tal Carmelo Mancuso, suo compagno di squadra, ma la richiesta di 28 milioni di lire non soddisfò il club di appartenenza che per lasciar partire i due calciatori ne chiese 35. Fu dunque dirottato al Messina, allora militante in C2, che ne annunciò l’acquisto nell’estate del 1982. Con la squadra peloritana fu protagonista di una rapida ed entusiasmante ascesa, che condusse a suon di reti i giallorossi fino all’approdo in Serie B, avvenuto nella stagione 85-86. A forgiarne il carattere e la classe furono due “maestri” del calibro di Franco Scoglio e Zdenek Zeman, che in quegli anni si avvicendarono sulla panchina del club siciliano.

I suoi 46 gol messi a segno con i giallorossi, in 123 presenze complessive, convinsero i dirigenti della Juventus ad investire 6 miliardi di lire per portarlo sotto la Mole. In bianconero giocò dall’89 al 92 conquistando al suo primo anno di Serie A, sotto la guida di Dino Zoff, una Coppa Italia ed una Uefa. Le sue 15 reti in 30 partite di campionato lo fecero diventare da subito Totò-Gol. Con questo soprannome affibbiatogli dai supporters bianconeri si presentò ai Mondiali del 1990, convocato in extremis dall’allora Commissario Tecnico Azeglio Vicini.

Da calciatore a mito

Fu proprio in occasione dei Campionati del Mondo disputatisi nel nostro Paese che Schillaci si trasformò da semplice calciatore ad autentica leggenda. Doveva ancora compiere 26 anni Totò, e aveva alle spalle un solo campionato di Serie A. Partì come riserva e diventò a suon di reti il protagonista della cavalcata che condusse gli azzurri fino all’inaspettata semifinale giocata contro l’Argentina di Maradona. Sei reti in sette gare lo consacrarono capocannoniere di quel Mondiale e lo portarono ad un passo dal Pallone d’Oro, arrivando appena alle spalle di Lothar Matthaus, laureatosi campione del Mondo con la Nazionale tedesca.

Un Mondiale quello del 90 che, seppur non vinto sul campo, per Schillaci rappresentò un autentico successo. Il suo nome era sulla bocca di tutti, il suo volto e i suoi occhi spalancati, dopo uno dei suoi tanti gol realizzati, un’immagine indelebile (divenuta poi iconica al pari di quella di Tardelli) nella mente di ogni sportivo. Quello fu sicuramente l’apice della sua carriera. Con la maglia dell’Inter, società per la quale giocò dal 1992 al 94, non ebbe la stessa fortuna (complice anche un brutto infortunio che lo tenne fuori dal rettangolo verde per circa sette mesi) che ottenne con la Juventus: 36 presenze e 12 reti in due stagioni il magro bottino ottenuto con il club meneghino.

Il “Sol Levante” nel tramonto della sua carriera

Il flop in nerazzurro lo convinse ad accettare l’importante proposta giuntagli dall’estero, più precisamente dalla lontana Asia. Schillaci anche lì fu pioniere: primo italiano a militare nel campionato giapponese dove, con la maglia dello Jubilo Iwata, mise insieme la bellezza di 65 reti in 93 presenze conquistandosi le simpatie e l’affetto del popolo orientale. Il ritiro dalle scene, avvenuto nel 1999, coincise con l’inizio di un nuovo capitolo: Totò decise di aprire la sua scuola calcio, il Ribolla. Amava la sua città, Palermo, e quello fu il suo simbolico atto di amore: “Bisogna investire sui quartieri togliendo i giovani dalle strade” – disse nell’occasione -.

In fondo Totò Schillaci non smise mai di sognare: quelle “notti magiche” continuava a portarsele dentro e, generosamente, anelava e sperava ardentemente che il suo sogno realizzato potesse diventare quello di tanti altri giovani palermitani che, come lui, sognavano di dare un calcio alle avversità della vita. Fai buon viaggio Totò, con la consapevolezza che nel tuo, seppur breve, passaggio sulla terra sei riuscito nell’impresa più importante: far sognare con le tue gesta tanti appassionati di calcio, entrando in maniera indelebile nei loro cuori ed eternamente nella loro memoria.

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Alessandro Saeli