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In caso di divorzio una sentenza della Cassazione garantisce a uno dei coniugi un assegno anche in casi particolari
Il calcolo dell’assegno divorzile viene effettuato in base alla condizione patrimoniale di moglie e marito. Il mantenimento è concesso al coniuge divorziato se ha i requisiti tra cui l’assenza di mezzi per provvedere al suo sostentamento. Il divorzio estingue il dovere di assistenza materiale tra i coniugi in quanto scioglie il matrimonio ed i diritti e doveri che nascono dall’unione.
L’assegno divorzile è un contributo al mantenimento del coniuge divorziato che, nel caso in cui sussistano determinati requisiti, impedisce l’eccessivo deterioramento delle sue condizioni economiche. Il calcolo è effettuato in base alla condizione patrimoniale di moglie e marito. L’assegno divorzile per il coniuge è deducibile dal reddito di chi lo versa mentre per chi lo riceve è assimilabile al reddito di lavoro dipendente e, quindi, dovrà essere oggetto di apposita dichiarazione.
Per poter ricevere l’assegno divorzile, ad eccezione di un accordo tra la coppia, il coniuge deve svolgere espressa domanda in sede di divorzio giudiziale. Il Giudice deve accertare che il coniuge che chiede l’assegno non abbia redditi propri che gli permettano di ottemperare al proprio sostentamento o, quantomeno, che non possa procurarseli per ragioni oggettive.
Non esiste una regola matematica da applicare per calcolare l’assegno divorzile. La legge stabilisce che solo il Giudice può deciderne l’entità. Esistono, tuttavia, modelli di calcolo ed interpretazioni giurisprudenziali che forniscono direttive da applicare ma il Giudice non è obbligato ad uniformarsi. La comparazione dello stato economico globale dei coniugi, che varia da divorzio a divorzio, è importante essendo l’unico modo per capire se ci sia davvero uno squilibrio tra le capacità delle parti.
Lavoro per l’ex coniuge: un fattore cruciale nell’assegno divorzile
La recente sentenza della Cassazione (ordinanza n. 30537/2024) ha ribadito l’importanza di considerare il lavoro svolto da un coniuge a favore dell’altro durante il matrimonio come elemento determinante per il calcolo dell’assegno divorzile. Questo principio estende il riconoscimento non solo alle attività domestiche e di cura della famiglia. Si riconoscono anche le prestazioni lavorative effettuate nell’impresa, nello studio professionale o in altre attività economiche dell’ex coniuge.
Nonostante queste attività siano generalmente considerate gratuite in costanza di matrimonio, la Suprema Corte sottolinea che esse non possono essere ignorate quando si valuta l’equità della ripartizione delle risorse post-divorzio. Il contributo fornito, spesso senza compenso immediato, deve essere valorizzato in termini di compensazione economica. Il lavoro svolto nell’interesse dell’ex coniuge assume una particolare rilevanza in tre situazioni: quando un coniuge ha collaborato nell’attività lavorativa dell’altro, quando si è dedicato alla cura esclusiva della famiglia e quando il matrimonio è stato di lunga durata.
Equità e compensazione economica
Se una moglie ha rinunciato alla propria carriera per supportare lo studio del marito commercialista, o un marito che ha collaborato per anni nell’azienda agricola della moglie, hanno diritto a un riconoscimento economico. La sentenza evidenzia come tale lavoro abbia contribuito non solo alla formazione del reddito familiare ma anche a permettere al coniuge più forte di dedicarsi maggiormente alla propria carriera, incrementando il suo patrimonio e reddito personale. L’assegno divorzile, a differenza di quello di mantenimento previsto in caso di separazione, non si basa più sul mantenimento del tenore di vita matrimoniale.
La sua finalità è invece assistenziale, compensativa e perequativa, ossia mira a riequilibrare le disuguaglianze economiche causate dalla fine del matrimonio. Il giudice, nella sua valutazione, deve considerare quanto il coniuge economicamente più debole abbia sacrificato le proprie opportunità lavorative per contribuire al benessere della famiglia. Riconoscere e valorizzare il lavoro non retribuito svolto durante il matrimonio non solo garantisce giustizia economica, ma tutela il coniuge che ha sacrificato le proprie ambizioni personali per il bene della famiglia, spesso svolgendo un ruolo fondamentale e spesso invisibile.