È morto al 41 bis Vincenzo Galatolo, boss dell’Arenella: nella sua zona ‘lo scannatoio’ di vicolo Pipitone

Il capomafia dell’Arenella era malato da tempo. Si è spento nell’istituto penitenziario di Opera in Lombardia. La salma trasferita a Palermo

A Milano Opera, dove era rinchiuso da molti anni al 41 bis, è morto Vincenzo Galatolo, boss dell’Arenella. Aveva 81 anni, da tempo era malato. Aveva diversi tumori, tanto che il suo avvocato aveva presentato un’istanza di scarcerazione, che, però, era stata rigettata. La salma di Galatolo sarà trasferita a Palermo per il funerale. E si attendono disposizioni da parte della questura, che di certo impedirà la cerimonia pubblica. Il nome di Vincenzo Galatolo è legato ai peggiori crimini mafiosi siciliani. Recentemente, la Cassazione aveva confermato la sua condanna a trent’anni per i per la strage di Pizzolungo, ad Erice, nel Trapanese.

La mafia, il 2 luglio ’85, tentò di assassinare il magistrato Carlo Palermo. Invece nell’attentato rimasero uccisi Barbara Rizzo e i suoi bimbi, i gemelli Giuseppe e Salvatore Asta, che erano in macchina con la madre nell’auto che transitava nel momento esatto dell’esplosione destinata al giudice, che  così riuscì a salvarsi

 

Nella zona di Galatolo il vicolo Pipitone all’Arenella lo ‘scannatoio’

Il boss Galatolo, punto di riferimento della criminalità organizzata all’Arenella, era vicino al clan dei Madonia. Ed era stato anche membro della Cupola capeggiata da Totò Riina. Oltre ai 30 anni per la strage di Pizzolungo, il capomafia era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.  Ed a 30 anni per l’omicidio di Lia Pipitone, figlia “ribelle” di Antonino Galatolo. Nella zone del capomafia dell’Arenella, all’Acquasanta, c’è vicolo Pipitone, uno dei luoghi simbolo della mafia palermitana.

Lì c’era il quartier generale dei Galatolo, e da questo budello a pochi passi dai Cantieri navali, negli anni Ottanta partivano gli ”squadroni della morte’,  per compiere tanti omicidi eccellenti E c’era anche  un luogo che poi fu chiamato lo “scannatoio” di Cosa nostra. Qui venivano torturati e uccisi  quelli  che avevano osato ribellarsi a Totò Riina, ma anche  quelli che avevano “sgarrato”, o avevano tradito o avevano disobbedito alle regole d’onore.

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