Ennio Tinaglia è il Chiara Ferragni del mondo Facebook di Palermo. Lo leggi e lo guardi come in stato di ipnosi, aspettando il tono dissacrante anche nelle riflessioni più serie, il punto di vista altro nel mare magnum delle banalità che hanno libertà di circolazione. La butto lì, consapevole magari di creargli qualche mussiata coniugale nel troppo stretto menage familiare di questi giorni: Ennio è seducente. Un gioco di seduzione che non deve essergli sconosciuto e che rivela l’attitudine di questo esemplare di maschio che ai suoi tempi non doveva passare inosservato. Perché nel pianeta dei maschi – e sottolineo maschi e non uomini – se non sei un alendelon devi abbanniare la mercanzia che sai di avere.
Il nostro Ennio, uomo di mondo prima ancora che avvocato per mestiere, possiede quello che potremmo definire un pensiero laterale. E non ha freni inibitori se non quelli delineati dai confini del buongusto. Questo spesso lo fa camminare su un filo senza rete di protezione, attirando sguardi di ammirazione e taliate schifiate. Ma quest’ultime appartengono a persone tristi, incapaci di confrontarsi con il meno convenzionale, abituati alle chiacchiere da fila alla cassa del supermarket e al fatto che un uomo non più quarantenne non dovrebbe più essere maschio (e daje con la differenza), come se la vanità o l’essere piacione debba per forza avere un limite d’età.
Ennio in quarantena è stato a suo modo eccezionale. Non ha fatto pernacchie ai decreti sol perché è uomo di legge ma ha avanzato dubbi sulla loro legittimità. Ci ha raccontato storie delicate, magari in contrasto con il suo umore e ha dato sfogo ad una delle sue passioni meno trattenute. Emulo di Paolo Conte s’è dato alla musica d’autore, interpretando alla sua maniera testi amari e ironici, come il momento imponeva, fottendosene dei limiti tecnici e mettendoci dentro anima e faccia.
Riflessioni sulla intimità dell’uomo (il maschio stavolta lasciamolo perdere) attraverso citazioni di due irregolari quali Herbert Pagani e Giorgio Gaber. L’albergo a ore e Shampoo, ideali per essere recitati più che cantati, proprio su misura per chi ha sacrificato la qualità dell’ugola sull’altare di quella sigaretta che faceva figo negli anni di Mastroianni e risulta un po’ “datè” oggi che juke box e piano bar sono simboli da un pezzo tramontati. E resta oggi vizio e vezzo di un uomo che strappa un sorriso anche se magari ha la bestia nel cuore.