Il triste epilogo di Caronia: Gioele è morto. Le circostanze sono ancora da chiarire
Troppi punti interrogativi in questa triste storia. La principale è: come sono morti realmente Gioele e Viviana?
Manca l’ufficialità, ma non sembrano esserci dubbi: i resti dilaniati di un corpicino sono stati trovati fra le campagne di Caronia, vicino a dove l’8 agosto scorso era stata trovata Viviana Parisi. Quel corpo martoriato di chi potrebbe essere se non del piccolo Gioele, figlio della dj che il 3 agosto aveva scavalcato il guardrail dell’autostrada in seguito ad un incidente stradale?
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Le analisi del cranio hanno evidenziato una dentatura appartenente ad un bimbo di 3-4 anni. Gioele ne aveva 4. E poi l’immagine più significativa, emblematica, quella del padre di Gioele, Daniele Mondello, che abbraccia e bacia la bara di zinco in cui, verosimilmente, è contenuto ciò che resta del figlio.
Brandelli di corpo e di indumenti, quasi sicuramente il risultato di un’aggressione animale. L’immagine atroce di un bimbo indifeso davanti alla forza e all’istinto di bestie selvatiche è peggio di un pugno nello stomaco. Ci si augura, almeno, che il bimbo non fosse cosciente o che, nel momento dell’atroce violenza, fosse già morto per altre cause. Ma se così fosse, come è morto Gioele?
Sono state le belve selvatiche ad ucciderlo – ipotesi poco credibile – o è stata Viviana? Oppure è stato qualcun altro? Di certo ci sono aspetti in tutta questa storia che vanno chiariti e analizzati a dovere, perché sarebbe superficiale e ingiusto liquidare il caso con accuse nei confronti della madre e della sua tenuta mentale. Va chiarito perché Viviana Parisi prima dell’incidente si sia recata a Sant’Agata di Militello, perché al casello autostradale abbia detto di non avere soldi e poi nella sua borsa sono stati trovati 150 euro. La donna ha prelevato in uno sportello bancario? E, se lo ha fatto, perché una persona che pensa al suicidio dovrebbe prelevare una somma così ingente? Una donna che, come dicono i familiari, amava profondamente il suo Gioele. Perché avrebbe dovuto fargli del male? Perché quell’uscita fra le campagne? Era disperata e confusa o scappava? Se avesse pensato al suicidio poteva fare male solo a se stessa, perché pure al suo bambino? E come mai i resti del piccolo, che giacevano non lontano da dove era stata trovata Viviana, sono stati rinvenuti così tardi da un volontario e non, per esempio, dai cani molecolari che sono addestrati per questo ed erano passati da quella zona? Perché ha lasciato lo smartphone a casa? Questi e altri interrogativi che meritano risposte, per Viviana, per Gioele e per chi li ha amati e continua ad amarli. E oggi pretende, giustamente, verità ed eventualmente giustizia.