Gli esami di «immaturità» del 2020

Cronaca di un giorno che il Covid 19 ha reso ancor più indimenticabile

Il Covid ha differito matrimoni – vedremo quante di queste promesse d’amore saranno a tempo debito confermate – e rovinato uno dei giorni più intensi della vita di un ragazzo. Gli esami di maturità hanno mutato pelle, stavolta non per colpa della bramosia di un ministro di lasciare una traccia del proprio passaggio. Seppure, in questa formula ispirata dal più evidente dei compromessi, è possibile leggere quella mancanza di rispetto che i nostri diciottenni avrebbero meritato tipica della burocrazia e della politica.

MEGLIO GLI SCRUTINI

Quest’anno la maturità andava regolata con uno scrutinio e buonanotte ai suonatori. Non è stato un anno normale, nessuno avrebbe potuto contestare una soluzione straordinaria e legittima. Ma soprattutto, lo ripetiamo, di grande rispetto per gli studenti. A cui oggi si chiede la più inutile delle messinscene, perché al netto degli atti di follia o di bestemmie davanti alla commissione nessuno potrà essere dichiarato non idoneo.

PANDEMIA E PAURA

C’era da fare solo un poderoso applauso ai professori (almeno alla maggioranza di essi perché gli scansafatiche albergano anche all’interno delle aule scolastiche) e dare un abbraccio virtuale a questi ragazzi a quali la pandemia non ha rubato soltanto una frazione del loro tempo, ma ha inoculato il germe della paura. Un atto contro natura perché la paura non deve mai essere sentimento di quell’età.

ANNI INDIMENTICABILI

La notte prima degli esami della classe 2020 non è stata come sempre. La mascherina quando non l’hanno sulla bocca l’avranno in testa questi nostri figli a cui forse andrebbe fatto un ripasso di storia, solo per fargli comprendere che da tutto ciò che non è normale possono nascere belle storie. Magari ricordargli anche che non sempre finisce come nei film, ma che questi anni di aula condivisa con degli sconosciuti entreranno nei ricordi di una vita. Indimenticabili per sempre.  

BRUFOLOSI E SOGNATORI

Siamo stati tutti studenti, quelle aule ci hanno ingoiato imberbi e brufolosi  e sputato esistenzialisti e sognatori. In mezzo a questi 5 anni amorini e amorazzi, prese per i fondelli ai professori, la scoperta che un’interrogazione può non far dormire, le prime pulsioni politiche, il sesso, fatto o magari soltanto dichiarato, il cazzeggio, la sensazione di invincibilità. E l’esistenza di una parola magica che mai più avrà un significato autentico come allora: amico, amica.

 

I miei amici di allora, gli unici coprotagonisti del nostro romanzetto breve, confessori e confessati, testimoni di cose che impareremo a tenere chiuse a chiave una volta diventati genitori, sono messi sempre lì, in ordine alfabetico, una tiritera che suona come il Sarti, Burgnich, Facchetti dell’Inter di Herrera. Il mio Sarti si chiamava Aiello, numero 1 di quella stranissima formazione che ha vinto scudetti e coppecampioni nei miei sogni e nei miei pensieri. Aiello non c’è più, s’è portato via un pezzetto della vita di quella terza I e anche frammenti di sogni, briciole di frustrazioni, un bastimento di rimpianti. S’è portato via anche l’illusione che in quel lontano 1977, quei nostri giorni fossero quelli della maturità. Cancellate questa parola, che l’immaturità è un valore se sottintende capacità di sognare, voglia di evitare le scorciatoie, divieto di sosta sulla piazzola del compromesso. Ragazzi, forza e coraggio: prendetevi questo diploma e restate immaturi, quanto più a lungo possibile.