Anniversario Falcone, il covid impedisce passerelle e incontri imbarazzanti

Le restrizioni hanno evitato passerelle ed incontri imbarazzanti nel giorno dell’anniversario della morte di Falcone.

La pandemia di coronavirus ha impedito la celebrazione del rito ufficiale più partecipato della liturgia dell’antimafia. Le misure per il distanziamento fisico hanno obbligato a rinunciare alle consuete manifestazioni per la commemorazione delle vittime della strage di Capaci, i giudici Falcone e Morvillo e gli agenti Montinaro, Di Cillo e Schifani. Niente corteo fino all’albero Falcone, in via Notarbartolo, niente nave della legalità e niente passerelle di autorità e politici, a beneficio di telecamere, microfoni e taccuini. E, quest’anno, forse è meglio così. Come giustamente scrive Angelo Scuderi (leggi qui), è meglio, oggi, immaginare, “in maniera diversa, di onorare il magistrato e tutti gli eroi della guerra alla mafia, magari con azioni concrete”. In maniera più intima, aggiungerei, più spontanea e forse più sincera. Certe presenze, certe parole, in questo 23 maggio 2020 sarebbero suonate stonate, fuori luogo e persino inopportune, a segnare la distanza abissale tra il prezzo del sacrificio di quelle cinque insostituibili e indimenticabili vite spese per uno Stato che, nella lotta alla mafia e per l’affermazione della legalità, mai ha dato un’immagine così contraddittoria di sé.

LE CERIMONIE DI OGGI SOMMERSE DA DIVIETI (E POLEMICHE)

Le cerimonie di oggi, senza i divieti da covid, sarebbero state sommerse dalle polemiche. Quei mafiosi scarcerati per ragioni di salute, per evitare contagi letali in carcere, hanno indignato tutti e, dicono, fatto fare festa ai boss. Il sentimento dei famigliari delle vittime lo ha espresso con parole chiare, con la consueta sincerità, la vedova di Antonio Montinaro, Tina Martinez, donna di grande coraggio e tenacia, in un intervento nella trasmissione de La 7 Atlantide:

“C’è qualcuno che si deve vergognare. Alcune istituzioni dello Stato si devono vergognare oggi più che mai. Non si possono mettere fuori mafiosi che hanno fatto cose terribili. Noi siamo indignati. Uno Stato che mette quei boss fuori è uno stato perdente. E’ una cosa che indigna me e colpisce tutta la polizia di Stato. Con orgoglio, continuo a dire con orgoglio, sono la moglie di Antonino Montinaro. Lui è morto con una dignità che poche persone hanno”.

Ecco, questo è il sentimento di chi in quella strage ha perso affetti e parte della sua stessa vita e sono parole da rispettare. Perché anche il dolore ha diverse dimensioni: al di là del sentimento pubblico, c’è la sfera privata, di chi ha perso mariti, padri o figli. Per loro, quelli non sono simboli, ma erano persone, che la sera non fanno più ritorno a casa, che non dormono più nel letto con loro, che non vivono quella vita che avevano progettato, ma che l’hanno spesa per uno Stato che, secondo loro, fa scelte opposte a ciò in cui loro credevano fino al limite estremo. Come avrebbe fatto il ministro Bonafede, per esempio, a guardare negli occhi Tina Montinaro e a ribadire, davanti a lei l’impegno delle istituzioni nella lotta alla mafia? 

O davanti al giudice Nino Di Matteo? Ecco, la sceneggiata sulla nomina del nuovo responsabile del Dap è un’altra ombra che avrebbe gravato col suo carico di polemiche sulle celebrazioni, denunciando spaccature odierne e fantasmi di divisioni e attacchi che misero nel mirino lo stesso Falcone. Un fronte della lotta per la legalità che appare spaccato e che perde pezzi, paladini che avevano la spada Durlindana e il corno di Orlando (non il sindaco di Palermo), ma che erano dei Gano di Magonza. Le istituzioni che restano permeabili a corruzione e infiltrazioni, come ci racconta la cronaca, con gli arresti nella Sanità, a Palermo e le manette scattate ai polsi di Antonio Candela, ex commissario anticovid in Sicilia e gran denunciatore di presunti intrallazzi. “Faceva parte del giro di Montante-Lumia e Crocetta, avevo avvertito Musumeci“, spiega Claudio Fava, presidente dell’Antimafia all’Ars. Parole che, tra le righe, spiegano come certa antimafia diventi patente e lasciapassare per incarichi istituzionali importanti, una legittimazione, un mantello che spesso cade dalle spalle di chi lo porta, per svelare il marcio che sta di sotto. Molti di costoro hanno partecipato, in passato, a sfilate, cortei e fiaccolate. Quest’anno no. Ed è meglio così.

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