Alla scoperta del fattore comune di Sicilia e Tunisia
Il patrimonio culturale sommerso, un’identità centrata sul mare che presenta molte similitudini. Oggi le due sponde sono epicentro di storia e di cronaca
Nel 2014 un progetto finanziato dalla Comunità Europea prevedeva la realizzazione di nuovi itinerari archeologici subacquei in Sicilia e in Tunisia, la sensibilizzazione sulla protezione dei beni culturali sottomarini e azioni di comunicazione e promozione turistica per lo sviluppo del turismo subacqueo.
Certo tutto ciò, visto attraverso la lente degli accadimenti che in questi ultimi anni hanno coinvolto il Maghreb, assume un aspetto del tutto diverso rispetto agli scopi originari che ci eravamo prefissi nel progetto. L’idea alla base dell’azione transfrontaliera, era quella di adottare criteri comuni per lo sviluppo turistico culturale del territorio e del patrimonio archeologico subacqueo in Tunisia, alla luce dell’esperienza maturata in Sicilia nella tutela del patrimonio sommerso. Adesso però tutto ciò sembra stridere con le recenti vicissitudini del popolo tunisino.
Per qualche tempo fu forte la convinzione che dopo il periodo di disordini e instabilità dal 2016 in poi, un periodo di rinascita avesse consentito la ripresa delle collaborazioni con la Tunisia. Purtroppo non fu così. Oggi leggiamo sui giornali i nomi che per noi sono legati all’archeologia, citati invece come porti di partenza per i tanti migranti tunisini che raggiungono le coste italiane. Tutto molto diverso da ciò che ci eravamo immaginati.
Il lavoro iniziato, e parzialmente concluso, ha consentito comunque la realizzazione di sei itinerari archeologici subacquei lungo la costa tunisina, a Kelibia, a Pilau e a Tabarka, e quattro in Sicilia, a San Vito Lo Capo, a Pantelleria e a Marsala.
Un grande sforzo di Sebastiano Tusa che, grazie al suo impegno in campo internazionale, era riuscito a stabilire proficui contatti con l’Istituto Nazionale del Patrimonio e l’Ufficio Nazionale del Turismo in Tunisia.
Partimmo da Palermo alla volta di Tunisi con una squadra di tecnici e subacquei nel mese di novembre del 2014. A causa della difficoltà nel reperire in Tunisia le attrezzature da immersione, una parte della squadra partì con un traghetto per trasportare le bombole, il compressore di ricarica, gli erogatori, gli scooter subacquei, i metal detector, i ricambi e tutto ciò che ci sarebbe servito per le ricognizioni subacquee e la realizzazione dei percorsi archeologici.
La prima tappa, dopo Tunisi, fu la zona di Kerkouane, antica città punica che ne conserva importanti vestigia architettoniche. A pochi metri dalla costa dall’antica città, individuammo notevoli tracce di naufragi con ancore e materiale ceramico, ma la difficoltà di raggiungere il sito subacqueo per i turisti, ci indusse a spostare le ricerche nella zona di Pilau, isolotto a poca distanza dalla città di Raf Raf e non lontano dal porto di Ghar el Melh. Qui le numerose evidenze archeologiche subacquee, ancore litiche e plumbee, anfore di diversa tipologia e lingotti in piombo, costituivano – insieme al variegato paesaggio marino e la ricca flora e fauna – un interessante punto di immersione per un itinerario culturale.
Le immersioni si alternavano alle ricerche strumentali effettuate con una imbarcazione appositamente attrezzata. Furono messe in campo tutte le nostre conoscenze nella ricerca archeologica subacquea e nella realizzazione di itinerari sommersi fruibili dai turisti. In due settimane di intenso lavoro trasferimmo le competenze acquisite negli anni di lavoro agli archeologi e ai subacquei dell’Istituto Nazionale del Patrimonio tunisino. L’obiettivo era trasferire il modello siciliano, ormai consolidato e vincente, ai colleghi tunisini che speravano in un rilancio della ricerca scientifica e del turismo proprio grazie a questo innovativo sistema di fruire il mare. Successivamente ospitammo la squadra tunisina in Sicilia, a San Vito Lo Capo, dove realizzammo due itinerari e dove illustrammo le tecniche per la realizzazione dei percorsi. Un’esperienza coinvolgente e nella quale credemmo molto.
Dopo due anni di intenso lavoro, a circa un miglio dal porto di Kelibia, tra i 18 e i 25 metri di profondità, sono stati realizzati due itinerari che consentono di ammirare ancore antiche, anfore e lingotti in piombo del II-I secolo a.C.
A Tabarka, alla profondità di 25 metri, un itinerario prevede la visita a una grossa ancora in piombo di oltre 400 kg e numerose ceramiche dal periodo punico a quello moderno, ricollocate in situ nello stesso luogo di ritrovamento, dopo che erano state prelevate negli anni passati ed esposti nel locale club nautico.
Nei pressi dell’isolotto di Pilau, tre itinerari monotematici a poca distanza l’uno dall’altro consentono di ammirare anfore, ancore e lingotti in piombo.
E tutto ciò in fondali ricchi di flora e di fauna marina di straordinaria bellezza e ricchezza, grazie anche alle ridotte attività marine e alla quasi assenza di attività subacquea.
Non so cosa riserverà il futuro alla Tunisia ma la speranza è quella di tornare ad una situazione di normalità in cui la fruizione dei beni culturali sommersi possa idealmente unire le due culture apparentemente così diverse ma in realtà così simili per il comune denominatore culturale che da più di duemila anni ci unisce: quel mare che è oggi tornato epicentro della storia e della cronaca.