Femminicidio Sara Campanella, “Argentino non mangia e non beve: minaccia di uccidersi”

Stefano Argentino

Stefano Argentino, il ragazzo di 27 anni che ha ucciso in strada a Messina la giovane Sara Campanella, non mangia e non beve da quattro giorni. “Insiste nella propria volontà di voler morire”, afferma all’Adnkronos l’avvocato Stefano Andolina, legale, insieme con Rosa Campisi, del ventisettenne che ha confessato l’uccisione della collega universitaria.

Le parole della madre di Stefano Argentino

“Ho aiutato mio figlio perché si voleva uccidere”. Daniela Santoro, madre di Stefano Argentino, in dichiarazioni spontanee ai carabinieri ha ammesso di avere dato una mano al figlio che al telefono non le aveva però confessato di avere ucciso Sara Campanella. In una telefonata, lunedì pomeriggio, Argentino avrebbe detto alla madre “di essere disperato, di avere fallito”, parlando della sua “incapacità di provare sentimenti”. La conversazione sarebbe avvenuta quando la 22enne era già morta.

“Del delitto, al telefono, non mi ha detto nulla”

Daniela Santoro avrebbe ricevuto la chiamata del figlio mentre stava “andando ad Avola in auto”. “Ho deciso di partire per Messina per andarlo a prendere. Del delitto, al telefono, non mi ha detto nulla”, ha dichiarato ai carabinieri sottolineando che il figlio era disperato e minacciava di uccidersi. “Sono rimasta sconvolta e gli ho chiesto il perché, lui mi ha parlato di un fallimento della sua vita”, ha aggiunto.

Gli inquirenti sin da subito hanno avuto la certezza che il ragazzo fosse stato aiutato. Il gip si era spinto a ipotizzare un ruolo della madre nel tentativo dell’assassino di fare perdere le proprie tracce. Ora, con le dichiarazioni della donna, sarà più facile ricostruire le sei ore trascorse tra il delitto e la cattura dello studente. Il giovane aveva provato a nascondersi nella casa vacanza dei genitori a Noto.

L’arma del delitto avvolta nel mistero

Il femminicidio è accaduto alle 17.15, Stefano Argentino è stato preso dai carabinieri dopo le 23. Da subito gli accertamenti avevano puntato sul ruolo di una persona che Stefano aveva chiamato per chiedere aiuto. Anche perché il ragazzo a Messina non aveva un’auto. Difficile ipotizzare che, con gli abiti sporchi di sangue e pochi minuti dopo aver ucciso la ragazza, potesse aver avuto il sangue freddo per salire su un pullman.