Giletti e le minacce subite dalla mafia: «Lasciato solo dai colleghi»

«Nulla è più come prima» dice Giletti, dopo avere vissuto un anno con la scorta scorta. «Poca solidarietà da colleghi e politici»

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Massimo Giletti è stato intervistato da “Sette”, il supplemento settimanale del Corriere della Sera. Il conduttore di Non è l’Arena, il programma in onda su La7 tutte le domeniche, ne ha approfittato per togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Nel luglio del 2020, per le sue inchieste sulla criminalità organizzata, ha ha dovuto fare i conti con le minacce di morte ricevute dalla mafia. Per questo, da quasi un anno, è costretto a vivere sotto scorta. Un fattaccio che gli ha senz’altro cambiato la vita, come ha spiegato a “Sette”.

«LASCIATO SOLO»

Oltre all’amarezza nel constatare il disinteresse di tanti, colleghi e politici : «Sono stato lasciato solo da tanti colleghi. Se questa battaglia contro i boss, nel periodo del Covid, l’avessimo fatta in tanti non sarei entrato nel mirino di Cosa nostra». Quando ha capito di essere in pericolo? «Il giorno in cui ho letto le minacce dei boss in carcere nei miei confronti. Ho capito che ero entrato in un vortice. Come se avessi perso coscienza della realtà. E ho cambiato vita. Ma il problema non è (solo) mio: l’Italia si deve chiedere perché chi indaga finisce sotto scorta». Nonostante tutto, il conduttore però si dice soddisfatto dei suoi successi e della capacità del suo programma di scovare la verità, anche se scomoda.

UN ALTRA DELUSIONE PER GILETTI

Gli viene chiesto se è questa l’unica sua delusione. Giletti ha risposto che è da mettere nel conto anche la chiusura di “Non è l’Arena” su Rai1. Circostanza che però gli ha permesso di trovare l’accoglienza di La7: «Chi fa numeri importanti ─ ha detto ─ è oggetto di attenzioni. Ma io scelgo sempre con il cuore. Non potrò mai dimenticare che il giorno in cui stavo seppellendo mio padre, nel gennaio 2020, mi sono sentito abbracciare alle spalle. Mi sono girato e c’era il mio editore, Urbano Cairo”.