La giustizia che non è esempio

La sentenza dell’omicidio La Rosa sarebbe dovuta servire anche da monito. E invece una pena “lieve” per chi ha ucciso senza pietà.

Paolo La Rosa

“Il castigo del delitto sta nell’averlo commesso, la pena che vi aggiunge la legge è superflua”, diceva lo scrittore francese Premio Nobel per la letteratura Anatole France. Concetto valido indubbiamente per gli uomini dai sani principi etici e morali. Un po’ meno per quelli che il codice penale, senza tanti fronzoli, definisce delinquenti per tendenza, ovvero coloro che rivelano una speciale inclinazione al delitto, dall’indole particolarmente selvaggia. Per questi ultimi il castigo è solo ed esclusivamente la pena emessa da un giudice.

L’uomo – tornando alla questione etica – è animale razionale. E’ capace, insomma, di orientare le proprie scelte, le proprie valutazioni e la propria condotta sulla base di valori e principi morali.

Ma l’uomo è anche capace di essere animale e basta. E riesce a darne prova commettendo le più atroci nefandezze. Come quella di aprire la pancia e la gola a un ragazzo poco più che ventenne al culmine di una banale discussione scatenata in una serata di carnevale, l’ultimo carnevale celebrato prima che il Covid, qualche settimana dopo, chiudesse le porte dei locali da ballo e vietasse le sfilate di piazza.

Niente “futili motivi”, niente ergastolo per l’assassino di Paolo La Rosa, il giovane di Terrasini ucciso a coltellate il 24 febbraio 2020 a Terrasini. All’imputato sono stati inflitti “solo” 16 anni. Un’eternità per chi dovrà scontarli dietro le sbarre. Nulla per chi ha subito il dolore più atroce: la perdita di un figlio, ammazzato come una bestia. 

Le sentenze, così dicono, vanno rispettate. Anche quelle che, per via di tecnicismi previsti dal nostro codice e a garanzia del reo, riducono considerevolmente la pena prevista per chi si macchia di delitti atroci. Come quello di annullare in maniera disumana una giovane vita a seguito di una banale lite fuori da un locale.

Omicidio atroce, motivi banali, come emerge da alcuni messaggi che circolavano via Whatsapp subito dopo l’omicidio e successivamente acquisiti dai carabinieri: Paolo “con le budella di fuori”, Paolo con la gola tagliata “per una minchiata picciotti… a sangue freddo”.

Ecco perché viene difficile, difficilissimo, rispettare la sentenza su quel fatto di sangue che ha distrutto una famiglia e sconvolto un’intera comunità.

Le parole forse più semplici ma allo stesso tempo più forti le ha scritte sul suo profilo social Carla, una donna di Terrasini, rivolgendosi ai giudici: “Stasera quando ritornate a casa guardate negli occhi i vostri figli e chiedetevi se quanto sentenziato oggi sia giusto”.

Già. E’ giusta la sentenza?

L’unica cosa certa è che il sacrificio di Paolo è stato sminuito. Il sacrificio di una violenta morte in cambio di una Giustizia giusta che possa essere, anche e soprattutto, da forte monito.

Perché in nome della Giustizia, forse, si sarebbero tutelati quei principi morali e etici di cui si parlava prima. In nome della Giustizia, forse, si sarebbe sottratto l’uomo dall’ambito dell’arbitrario per ricondurlo nell’alveo della razionalità. Un’occasione, forse, persa.

In nome, forse, della Giustizia. 

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