I carabinieri hanno una quantità enorme di elementi che accusano i nove arrestati di Caivano di essere gli autori degli stupri nei confronti delle due cuginette di 10 e 12 anni e di una terza vittima di 13 anni, venuta fuori dalle indagini. Sono finiti in carcere due maggiorenni, Pasquale Mosca e Giuseppe Varriale: uno ha 19 anni e l’altro è maggiorenne da febbraio. Il più giovane dei sette minori coinvolti nell’ordinanza di custodia cautelare di anni ne ha, invece, 14.
La Stampa scrive che dalla lettura dell’ordinanza emerge il calvario delle vittime, ricattate dal branco con i filmati delle violenze. “Chiamo tuo padre e gli mostro i video”, queste le minacce.
Gli stupri documentati si sono svolti in un arco temporale di tre mesi. Sono avvenuti in diversi posti di Caivano: casupole, nel centro sportivo abbandonato o in un ipermercato del Casertano. In una occasione anche nell’abitazione di uno degli accusati. C’è un particolare rimarcato anche dal gip Fabrizio Forte: “Deridevano le bambine”. Inoltre il giudice ha segnalato un altro dettaglio, che fa capire tante cose. Una delle bimbe, la più grande, ha raccontato che la “madre, allorquando era venuta a conoscenza di tali episodi, aveva reagito rimproverandola, dicendosi assai delusa da lei e sostenendo che, in qualche modo, l’aveva voluto lei”.
Lo stupro consumatosi nella casa di uno degli indagati è avvenuto in videochiamata: il violentatore ha ripreso la scena per mostrare agli amici quello che stava facendo. Alla fine, quando stava uscendo con la bambina, ha incrociano la sua mamma, che gli ha detto: “Lasciala stare, che è piccola”. Inoltre, gli amici che avevano assistito via chat alla violenza, chattando fra di loro si proponevano di fare anche loro la ripresa con l’altra, quella di 10 anni.
La più grande delle cuginette la prima volta è stata costretta ad obbedire dopo essere stata minacciata con un bastone. Poi sarebbero arrivate anche le sassate. Pare che le ragazzine fossero portate in una casupola dove c’era una tenda divisoria: le due non potevano vedersi. Le vittime hanno detto di avere deciso di non raccontare nulla ai loro genitori “per paura della loro reazione e di non essere credute”. Il gip ha scritto di una mancanza di vigilanza delle famiglie, dovuta alla “precaria condizione familiare”, che ha indotto il tribunale civile a collocare le bambine in comunità, per un processo di recupero che sarà lungo e difficile.