Guai per i ragazzi che hanno speso i bonus cultura in playstation

Molti neo diciottenni invece di utilizzare il bonus cultura per l’acquisto di libri di vario genere, musica digitale, biglietti per concerti, musei, mostre, fiere, spettacoli teatrali e cinema in realtà hanno acquistato playstation o cellulari

Molti neo diciottenni, con i bonus cultura di 500 euro invece di libri e biglietti per mostre, concerti musei, hanno acquistato a man bassa playstation, videogiochi e smartphone. I finanzieri della Compagnia di Jesi, coordinati dalla Procura della Repubblica di Ancona, nell’ambito di un’indagine denominata operazione “18APP”, ne hanno individuato 2.503, residenti in quattordici regioni d’Italia. Tutti sono accusati di aver fruito illegalmente nel 2017 e 2018 dello specifico bonus cultura.

ACQUISTI ON LINE

Le indagini, durate oltre otto mesi, hanno permesso d’individuare quale fulcro del sistema di frode una società di Jesi, amministrata da B.G. una italiana di anni 72 residente nella stessa città, attiva nel settore del commercio al dettaglio di apparecchi elettronici. La donna, sia attraverso il proprio sito internet che direttamente in negozio, ha consentito di potere aggirare la normativa che prevede per i neo diciottenni il beneficio pari a 500 euro a persona, che deve essere destinato esclusivamente a spese relative all’acquisto di oggetti e attività con finalità analiticamente indicate dalla legge, come libri di vario genere, musica digitale, biglietti per concerti, musei, mostre, fiere, spettacoli teatrali, cinema.

ACQUISTI INDEBITI NEL 2017 E NEL 2018

Grazie all’utilizzo dell’esercizio commerciale individuato, sono stati invece fatti acquisti indebiti, avvenuti negli anni 2017 e 2018. In tanti hanno preferito prodotti elettronici, come playstation, smartphone di ultima generazione, videocamere e personal computer. Tutti beni che, in base alla normativa vigente non potevano essere comprati. Fondamentale in questo caso anche il “passaparola”, pure tramite i social, tra i ragazzi che avevano fruito del beneficio poi speso presso il predetto negozio. La società coinvolta, nelle proprie comunicazioni mensili necessarie per ottenere il successivo rimborso, aveva dichiarato al ministero per i Beni e le Attività Culturali di aver venduto beni consentiti dalla legge istitutiva del bonus, come ad esempio musica registrata. L’importo complessivo della frode, perpetrata nell’arco dei due anni 2017 e 2018, è stato ricostruito in 939.000 euro.