Nell’operazione antimafia congiunta che ha visto in campo agenti speciali della Fbi e investigatori del Servizio Centrale Operativo, della Squadra Mobile di Palermo e della locale Sisco, i fermati siciliani sono soggetti ritenuti appartenenti a Cosa nostra. Si tratta, in particolare, del patriarca Francesco Rappa, 81 anni; Giacomo Palazzolo, 77 anni; Giovan Battista Badalamenti, 69 anni (nato a Torretta); Salvatore Prestigiacomo, 50 anni; Isacco Urso, 40 anni; Salvatore Prestigiacomo, 54 anni e Maria Caruso, 39 anni.
Su Franceso Rappa il procuratore Maurizio De Lucia, l’aggiunto Marzia Sabella e il sostituto Giovanni Antoci nel loro provvedimento hanno scritto: “In particolare si è accertato che il Rappa, in ragione della sua autorevolezza criminale, ha riacquisito una posizione di sicuro rilievo all’interno del sodalizio criminoso. Collocandosi nuovamente al vertice della famiglia mafiosa di Borgetto”.
Ciccio Rappa, come lo chiamano gli affiliati siculo-americani, dopo la sua ultima condanna sembrava sparito dai radar. Invece per gli investigatori l’anziano boss non avrebbe mai lasciato la scena. Anzi se la sarebbe ripresa di prepotenza ricollocandosi al vertice della famiglia mafiosa di Borgetto, continuando a mantenere stretti rapporti con gli esponenti mafiosi residenti in America e, in particolare, con la famiglia mafiosa Gambino di New York, dove attualmente risiede il figlio, Vito Gabriele, ritenuto dalle autorità statunitensi il punto di riferimento oltreoceano degli uomini d’onore a stelle e strisce.
Nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia, avviata in collaborazione con l’Fbi, il ruolo centrale è appunto quello dell’anziano capomafia di Borgetto, ritenuto un padrino di Cosa nostra ‘old style’. Dopo la sua ultima scarcerazione, il boss è stato intercettato più volte al telefono con alcuni componenti del clan newyorkese dei Gambino che lo considerano un prezioso alleato.
Nelle conversazioni con i boss americani ascoltate dagli inquirenti, Rappa dava indicazioni su come volare basso per evitare fastidiose intrusioni della magistratura ma offriva anche consigli sulle strategie da adottare per allargare il giro d’affari e mantenere in piedi il sistema di racket, specialmente nei confronti delle imprese edili dell’intero Stato di New York. Dava anche ‘lezioni’ sulla riscossione del pizzo e sulle intimidazioni. I mafiosi americani, seguendo infatti l’esempio che arrivava dalla Sicilia, si facevano aiutare dai membri delle gang locali. Adottavano anche un metodo già collaudato, cioè far pagare di meno agli esercenti, e ricorrevano alla violenza solo in casi estremi. Una scelta che in Sicilia aveva già dato buoni risultati sotto il profilo finanziario.