“U curdaru”, il cordaio, è un mestiere antichissimo risalente all’epoca egizia, giunto nel mezzogiorno italiano nel corso dei secoli. Fabbricava la corda, un insieme di fili intrecciati capaci di sopportare sforzi di trazione. Può essere costituita da materiali naturali, metallici o sintetici.
Oggi la fabbricazione di corde avviene quasi esclusivamente in maniera automatica tramite cordatrici. Tuttavia, in alcuni paesi nell’interno dells Sicilia, probabilmente è ancora possibile trovare qualche vecchia bottega di artigiani che producono corde e funi con un lavoro manuale. Per svolgere questa attività c’è di bisogno molto spazio. Per questo il “curdaru” svolgeva il suo lavoro all’aperto, in piazze e spazi pubblici di periferia essendo le corde ottenute molto lunghe.
Il lavoro del “curdaru” era molto caratteristico e apparentemente semplice: un ragazzino per poche lire o un pezzo di pane faceva girare con una grossa ruota con una manovella. Questa, a sua volta, attraverso alcuni collegamenti faceva girare velocemente un’altra piccolissima ruota che aveva un uncino al centro, chiamato “animmula”. “U curdaru”, incominciando dalla “anummula”, e camminando all’indietro, andava cedendo le fibre che teneva sotto il braccio o intorno la vita. Per l’effetto rotatorio le fibre si intrecciavano, e diventavano corde, ‘rumaneddu’ o spago. C’è un antico proverbio siciliano, che, ricordando quest’attività dice: “Iri nnarrieri comu u curdaru”, cioè “andare indietro, in senso metaforico, come il cordaio”.
A Palermo, negli anni ’50 e ’60 camminando per la città era ancora possibili vedere artigiani che intrecciavano corde. Poiché cercavano spazi grandi, alcuni si posizionavano in via Arenella, prima dei Rotoli, mentre altri lavoravano a piazza Peranni, vicino via Papireto, dove adesso c’è il “Mercato delle Pulci”, o in Corso Alberto Amedeo. Era possibile vederli anche andando verso Pallavicino o nelle borgate. Qui sotto, un video che dimostra la tecnica del “curdaru”, Dalla cardatura alla lavorazione
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