Il boss: “È morto un carabiniere? Bello è stato, ma poteva morire prima!”
La reazione del capomafia alla notizia comunicatagli da un suo affiliato. Gli dice anche: “Lo vedi, Il Signore c’è…!”
Qualche giorno fa i carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 29 persone, fra cui anche il boss Alberto Musto, tutti accusati di appartenere alla famiglia mafiosa di Niscemi. Le accuse per gli indagati spaziano dai reati contro la persona e contro il patrimonio, alla detenzione di armi da sparo. Le indagini condotte dai carabinieri di Gela, hanno anche svelato un progetto di attentato nei confronti di un imprenditore che alcuni anni fa aveva denunciato un tentativo di estorsione.
Le intercettazioni del boss, con il disprezzo per le forze dell’ordine.
Dalle intercettazioni eseguite durante le indagini è venuto fuori tutto il disprezzo che uno degli indagati, il boss Alberto Musto, capo mandamento di Gela e reggente di Cosa nostra a Niscemi, provava nei confronti delle istituzioni e le forze dell’ordine. Al punto che avrebbe anche goduto per la morte di un carabiniere, deceduto a causa di un incidente stradale. Infatti ha manifestato tutto il suo piacere, nel corso di un dialogo con un Giuseppe Manduca, un suo affiliato che lo informava di avere appena appreso la notizia della morte di un militare dell’Arma. «Mih…ah questo? Minchia non poteva morire prima? Carabiniere era? Bello è stato, lo vedi? Il Signore c’è Pè».
Odio verso carabinieri e polizia
La conversazione conferma l’avversità che il capomafia e i suoi fedelissimi nutrivano nei confronti delle forze dell’ordine anche perché, nonostante continuavano a sfidare polizia e carabinieri, in cuor loro temevano di finire nuovamente in cella da «innocenti». Infatti, come scrive il Giornale di Sicilia, il reggente di Niscemi, parlando ancora con il suo scagnozzo, gli faceva presente che bisognava scongiurare un altro arresto. “A me secca, Peppe mi devo andare a fare altri 10 anni di carcere per minchiate”. Osservazione che Giuseppe Manduca condivideva: “Pure a me, io senza motivo… Ma come, noi siamo puliti in tutte le cose, siamo stati puliti… c’è qualcuno che parla”. E consigliava al suo capo di non incontrare nessuno e di non andare a nessun appuntamento. “Vattene in piazza” gli suggeriva. La cosca era ossessionata dalla presenza sul territorio delle forze dell’ordine, in quanto polizia e carabinieri erano presenti in maniera massiccia.
Le lamentele per la presenza massiccia delle forze dell’ordine
Nel corso di un dialogo, Alberto Musto metteva in guardia un altro suo affiliato, Giovanni Ferranti, e gli consigliava di prestare la massima cautela. Perché, appunto, il paese era assediato dalle forze dell’ordine: “Dobbiamo stare attenti che c’è la Dda. La Dda proprio quella di Caltanissetta”. “È un danno, ci sono indagini”, aveva replicato Musto. La ‘famiglia’ voleva incendiare l’auto ad un assistente capo della polizia in servizio al commissariato di Niscemi, perché durante un controllo, effettuato mentre Alberto e Sergio Musto erano a bordo di una auto, il poliziotto e un suo collega avevano osato contestargli il mancato uso delle cinture di sicurezza e quindi avevano elevato una sanzione amministrativa. Tanto è bastato per provocare l’ira e la furia del boss, che diceva: «Mi perseguitate, così non si può lavorare, ora me la vedo io con il dirigente del commissariato e in caso anche con il questore, non potete rompere i c. per una cintura, andate a lavorare. D’ora in poi vi faremo correre”