Cronaca di Palermo

Il caso dello stupro a Palermo, il tribunale dell’odio non risparmia nessuno

La violenza di gruppo avvenuta lo scorso 7 luglio a Palermo ai danni di una 19enne ha catalizzato l’attenzione dei social network. Nessuno parla d’altro, basti pensare che da ben una settimana “Palermo stupro” è primo in tendenza sulla piattaforma social di Twitter. Ognuno dice la sua, chiunque esprime il suo dissenso, lo schifo, l’odio per ciò che è accaduto.

Ma non solo, c’è anche chi la pensa in modo diverso, chi “pensa” che forse la giovane ha bevuto troppo, magari ci stava, dovrebbe stare più attenta”. C’è chi propone le pene più cruente perché “questi esseri devono pagare”, chi si diverte a creare profili falsi dei 7 indagati, e ancora, c’è chi non si accontenta di dire la propria in ogni post di Facebook, Instagram, Twitter o Tik Tok ma arriva addirittura a scrivere messaggi privati alla vittima.

La violenza di gruppo a Palermo, un caso al vaglio del tribunale dell’odio

Una risonanza mediatica non indifferente, un caso di cui tutti parlano. Vittima e carnefici vengono insultati, letteralmente processati sui social, senza alcuna differenza. Il vero tribunale di cui avere paura, al giorno d’oggi, è proprio quello dei social network, la giustizia giudiziaria non basta più.

Le parole diventano la punizione peggiore. Uno stigma, di cui poi è difficile liberarsi,  diventano l’arma e la condanna più pericolosa che esista. Le parole feriscono, sono in grado di distruggere, forse più di una coltellata. Ed è proprio per le parole, che questa vicenda assume oggi la connotazione di un caso mediatico e ha dato a chiunque la possibilità di esprimere un giudizio.

La diffusione dei nomi dei 7 indagati per stupro, le chat tra questi e poi il racconto della vittima hanno fatto sì che il tutto venisse messo in “piazza” alla mercè del popolo che si è sentito in diritto e in dovere di fornire la sua condanna. Tutto diventa pubblico e come se non bastasse arrivano gli stessi protagonisti di questa storia a fornire altro materiale che alimenta la vicenda trasformandola, da quello che dovrebbe essere un caso esempio che risveglia le coscienze e che dovrebbe far prendere atto che sono necessari dei cambiamenti, che non si può più stare semplicemente a guardare, a un mero spettacolo pubblico in cui vince chi usa le parole peggiori.

Non c’è privacy, non esiste tutela, tutto deve essere fatto pubblicamente, dalla gogna alla condanna. Ma è veramente la cosa giusta?

Il famoso “Hate speech” non è nient’altro che questo, e l’hater non è quello che si nasconde dietro un profilo falso ma colui che usa, frasi, epiteti denigratori con il mero scopo di incitare alla violenza e all’odio. Un odio riversato su entrambe le parti, sui colpevoli dello stupro e sulla vittima dello stupro.

“Se si vestisse meno provocante”: è davvero colpa delle donne?

Forse se l’è cercata”, “Se non vuoi finire in queste situazioni non ti ubriachi” e ancora, “Se vai in giro vestita in un certo modo”. Questi sono solo alcuni dei commenti che si trovano in giro rivolti alla 19enne, vittima dell’agghiacciante vicenda, commenti che non hanno niente di diverso dai commenti rivolti agli imputati, entrambi sono etichettabili come linguaggio d’odio.

Un linguaggio d’odio diverso, più sottile, più subdolo, che mina l’esistenza di una donna. Perché il modo di vestirsi, il modo di atteggiarsi, diventano delle scusanti? Perché diventano un “è stata vittima di violenza ma…”?

Basti pensare alla recentissima sentenza del caso di Firenze, in cui due ragazzi accusati di violenza sessuale sono assolti perché “Hanno errato sul consenso”.

Ma è davvero così? Possiamo essere colpevoli solo perché ci vestiamo più scollate? Beh la verità va cercata più indietro, in una realtà non troppo lontana, che trasmette una visione distorta ed errata della figura femminile.

Uno studio sul linguaggio d’odio ha rivelato come la pornografia abbia un ruolo centrale nell’indurre, propagare e rinforzare credenze false e dannose soprattutto sulle donne. La pornografia, dunque, classificherebbe le donne come inferiori, legittimerebbe e autorizzerebbe aspettative e comportamenti di discriminazione e violenza.

La fruizione della pornografia porterebbe a vedere la donna come un oggetto. Il “no” proferito da una donna non verrebbe preso sul serio, portando a pensare che faccia parte del gioco sessuale. L’uomo, dunque, non considererebbe il rifiuto e  persisterebbe nelle avance.

Un ritratto della società odierna che fa paura, ma che dovrebbe far riflettere. Viviamo governati da un linguaggio d’odio che mascheriamo con le opinioni: additiamo, giudichiamo, in base a ciò che leggiamo e vediamo ma non siamo ancora stati capaci di fare tesoro dei nostri errori e fare qualcosa per cambiare le cose. Perchè, forse, in fondo le cose non le vogliamo cambiare.

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Published by
Roberta Rizzo