A poche ore dall’arresto, già si iniziano a fare i conti sul patrimonio miliardario del boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. Dietro quest’uomo tanto pericoloso, si cela anche un ingente patrimonio che le indagini degli inquirenti tenteranno di ricostruire. Ma sarà un’impresa molto difficile.
In una classifica stilata da Forbes, il boss è collocato al nono posto tra gli uomini più ricchi d’Italia e tra i primi 400 al mondo. Basti dire che negli ultimi 21 anni, solo il valore dei beni sequestrati a suo nome ammonterebbe a circa 4 miliardi. Una fortuna accumulata con investimenti nella grande distribuzione, nel turismo, nell’energia rinnovabilie e nell’edilizia.
Probabilmente non si avranno mai cifre realistiche e precise, ma bastano le stime per far girare la testa: soldi, tanti soldi. Come se fosse scritto nel destino del cognome di uno dei più sanguinari malviventi della storia del nostro Paese.
“Nomen omen”: questa locuzione latina asserisce che nel nome delle persone è indicato il loro stesso destino. Ma forse, se così fosse, il vero cognome dell’ex ricercato di lungo corso doveva essere Messina”tanto” Denaro.
Uno dei settori che la “primula rossa di Castelvetrano prediligeva era la grande distribuzione. Giuseppe Grigoli, condannato per essere stato il braccio imprenditoriale di Matteo Messina Denaro, era il proprietario di una rete di supermercati della grande distribuzione organizzata targati Despar. Era stato ribattezzato il re dei supermercati, e gli sono stati prima sequestrati e poi confiscati beni per 700 milioni di euro, costituiti da dodici società, 220 fabbricati e 133 appezzamenti di terreno per 60 ettari.
Una parte della fortuna del boss è stata accumulata anche con investimenti nell’energia rinnovabile, in particolare l’eolico, settore «curato» per il boss dall’imprenditore trapanese Vito Nicastri, l’ex elettricista di Alcamo e pioniere del green in Sicilia. Per anni avrebbe tenuto le chiavi della cassaforte del capomafia. A Nicastri è stato sequestrato un patrimonio di un miliardo e mezzo di euro.
Ma, secondo i magistrati, c’erano soldi del superlatitante anche nell’ex Valtur. Un colosso del turismo del valore di miliardi, di proprietà di Carmelo Patti, l’ex muratore di Castelvetrano divenuto capitano d’azienda e finito nei guai, come Al Capone, per un’accusa di evasione fiscale.
Le inchieste raccontano che braccio destro di Patti, era il commercialista Michele Alagna, padre di una delle amanti di Messina Denaro, Francesca, che al boss ha dato una figlia mai riconosciuta. Nel 2018 il tribunale di Trapani ha sequestrato a Patti beni per 1,5 miliardi. Come disse la Dia, un delle misure patrimoniali più ingenti mai eseguite. Furono messi i sigilli a resort, beni della vecchia Valtur, una barca di 21 metri, un campo da golf, terreni, 232 proprietà immobiliari e 25 società.
Questi di cui abbiamo parlato sono i sequestri più importanti negli ultimi vent’anni riconducibile a Messina Denaro. Ma non mancano tante altre piccole o grandi operazioni, con sequestri tra 300mila euro e un milione e in qualche caso di somme maggiori. Come il sequestro per 25 milioni avvenuto nel 2012 a un imprenditore accusato di essere un prestanome del super latitante di Cosa nostra. E di averlo ospitato in proprietà di sua pertinenza, a Trapani. Il procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia nella conferenza stampa dopo l’arresto del boss ha detto: «C’è stata certamente una fetta di borghesia che negli anni ha aiutato Messina Denaro e le nostre indagini ora stanno puntando su questo».