INPS sospende indennità al figlio invalido e assegno di inclusione, palermitana vince in tribunale: “Errore dell’Istituto”

Bommarito

Una cittadina palermitana, madre di un minore invalido percettore di indennità di frequenza, nel febbraio 2024 si è vista recapitare una comunicazione da parte dell’INPS che le intimava di restituire quanto percepito dal figlio per gli ultimi tre anni, perché, secondo l’Istituto di previdenza, il minore non si era presentato alla visita di revisione nel febbraio 2021: L’INPS riteneva di aver regolarmente inviato l’invito e pertanto, in assenza di un accertamento della permanenza del requisito sanitario, l’indennità di frequenza veniva revocata e quanto percepito negli ultimi tre anni doveva essere restituito.

A raccontare la vicenda è l’avv. Pier Luigi Licari, che ha assistito la donna nella sua battaglia. Tra l’altro la situazione dopo qualche mese si era ulteriormente complicata: nell’estate del 2024 è arrivata, infatti, la sospensione dell’assegno di inclusione in quanto l’INPS, a seguito di accertamenti sulla disabilità del figlio minore, verificava che nella domanda ADI, presentata dalla donna nel gennaio 2024, risultava dichiarata la condizione di disabilità del figlio che invece per l’INPS non risultava invalido dal febbraio 2021.

La vicenda

La donna, dal canto suo, ha sempre sostenuto di non aver mai ricevuto alcuna convocazione per la visita di revisione del figlio nel febbraio 2021 e di aver sempre regolarmente percepito l’indennità di frequenza sino al febbraio del 2024, per cui riteneva di aver correttamente dichiarato nella domanda ADI di gennaio 2024 la disabilità del figlio. Le sue rimostranze “lasciavano impassibile l’INPS – spiega il legale – motivo per il quale si è reso necessario adire il Tribunale di Palermo mediante ricorso d’urgenza; infatti l’assegno di inclusione rappresentava l’unica fonte di entrata per la donna”.

L’avvocato Licari ha raccolto “questa sfida che aveva sfiancato la povera cittadina, demoralizzata dal muro sollevato dall’INPS, e che l’aveva lasciata nel più assoluto sconforto“. Il legale ha sostenuto che l’assistita aveva correttamente indicato nella compilazione della domanda di ADI del gennaio 2024 la condizione di disabilità grave del figlio, invalido civile, poiché non le era mai stata notificata alcuna convocazione a visita di revisione tre anni prima e l’INPS aveva continuato a versare l’indennità di frequenza.

Ha dimostrato poi nel processo che l’INPS non aveva correttamente notificato l’avviso di convocazione del minore non essendovi alcuna prova del rispetto della procedura prevista per il buon fine della notifica. “Una semplice busta raccomandata con indicazione scritta a mano dell’assenza del destinatario – spiega – senza la prova di aver comunicato a quest’ultimo il tentativo di consegna e il deposito del plico presso l’ufficio postale per consentirne il ritiro, rendono la notifica invalida”.

La vittoria in tribunale

Il Giudice, adottando l’Ordinanza, ha accolto la tesi del legale precisando che alla luce dell’irregolarità della notifica in questione e della conseguente illegittimità della procedura di convocazione a visita di revisione del minore, la donna aveva affermato il vero quando, nel compilare la domanda di ADI, aveva dichiarato la disabilità del figlio, motivo per cui era da considerarsi illegittima sia la comunicazione di restituzione dell’indennità di frequenza percepita dal figlio negli ultimi tre anni sia il provvedimento INPS di sospensione del beneficio ADI. Affermato dunque “il diritto della ricorrente al ripristino – dalla data di sospensione – dell’assegno di inclusione, che per la ricorrente rivestiva, e riveste, tra l’altro, una funzione alimentare e dunque indispensabile per vivere”, sottolinea il legale.

“Una situazione apparentemente complessa nella sua semplicità – chiosa l’avvocato Licari – che per la mia assistita si è positivamente risolta restituendole il morale e la speranza di guardare al futuro con maggior fiducia; quella fiducia che spesso i cittadini ripongono nella legge che, come ci insegna il noto detto evangelico, “è fatta per l’uomo”; e ciò vale ancor di più quando a essere tutelati contro gli errori della pubblica amministrazione sono i diritti dei soggetti più deboli, più svantaggiati e soli. Diritti che noi avvocati siamo chiamati a far respirare perché nel nostro aiuto e nella nostra vicinanza queste persone trovano l’unico modo per “gridare” e far conoscere la loro richiesta di giustizia”.