Intercettato dalle microspie il soliloquio del boss in esilio contro Cosa nostra

Le intercettazioni delle microspie nascoste nell’abitazione di Caporrimo in “esilio”, hanno svelato i pensieri e i discorsi del boss: «Ma questa Commissione come l’hanno fatta?»

Giulio Caporrimo, un boss che dopo 18 anni di carcere era tornato a Tommaso Natale, ed era convinto che dopo l’arresto di Calogero Lo Piccolo, l’ultimo della dinastia, era lui l’uomo destinato a prendere le redini del mandamento. Invece i Lo Piccolo avevano scelto come reggente Francesco Palumeri, “un “uomo di via Pitrè”, fra l’altro con un “curriculum” più modesto di quello di Caporrimo. Il “vecchio leone”, come era soprannominato nell’ambiente. non intendeva prendere ordini da nuovo reggente, e visto che per lui non c’era spazio, era andato in auto esilio a Firenze.

IL NERVOSISMO DI CAPORRIMO

Ma il boss però aveva una insolita abitudine, quella di parlare da solo. E senza sapere di essere intercettato, ha svelato agli inquirenti dettagli e retroscena interessanti. A cominciare dalla sua idea di Cosa nostra, quella «vera», sostituita oggi dalla «Cosa come ci viene», composta da «miserabili» e «fanghi». Come scrive il Giornale di Sicilia, questo retroscena emerge dalla carte dell’inchiesta che ha portato a sgominare nuovamente l’organizzazione di uno del mandamento di Tommaso Natale, uno dei più attivi, a cui negli anni il nucleo investigativo dei carabinieri aveva già assestato duri colpi. Sono discorsi veri e propri quelli di Caporrimo, in cui talvolta appare «rabbioso come un lupo in gabbia» – scrive il gip Lorenzo Jannelli – a tratti più conciliante, altre volte palesemente «innervosito» dagli incontri avuti nel corso delle giornate». Incontri anch’essi adeguatamente documentati dai carabinieri nelle lunghe ore di intercettazioni. Oltre a parlare da solo il boss aveva anche interlocutori immaginari.

I DIALOGHI IDEALI CON UN CERTO “MICHELE” SULLO STATO DI COSA NOSTRA

A volte Caporrimo, mentre era solo, dialogava idealmente con tale Michele, non presente. Gli inquirenti ipotizzano possa trattarsi di Michele Micalizzi, un altro appartenente al mandamento. Con lui, «assente», il boss immaginava di discuteva su cosa fosse diventata Cosa nostra e ancora sulla nuova Cupola: «Ma questa Commissione come l’hanno fatta? La fanno tre mandamenti? Quanti erano due, tre? Non si capisce e come fanno a decidere? Ma che sono pazzi? E innazitutto il rappresentante della famiglia chi lo ha deciso? Questa era Cosa nostra, se ci devono ridurre come gli stiddari…, ma loro ci sono ridotti ormai e s’immischiò Stidda e Cosa nostra! Quattro assassini di merda che poi si sono pentiti, hanno fatto e disfatto, a Palermo si spaventano, quattro miserabili sono, ma chi se la fida a fare, già oggi giorno quando ci parli di fare un lavoro scappano, non li vedi più!».

NON SOLO MONOLOGHI

In un altro soliloquio, Caporrimo, riferendosi ai suoi uomini di fiducia, si lamentava che avevano commesso un errore tattico nell’avere assecondato la scalata di Franco. Si riferisce presumibilmente, spiega il giudice, a Francesco Palumeri, il reggente con il quale era entrato in contrasto. Ma nelle intercettazioni non ci solo monologhi solitari. Il boss in esilio volontario nell’appartamento di Firenze è stato intercettato anche mentre parlava con la moglie dei suoi rapporti tesi con l’anziano boss Settimo Mineo, sulla gestione di alcuni lavori edili sui quali c’erano stati sgraditi sconfinamenti.

I RIMPROVERI AI FIGLI

Inoltre dalle carte salta fuori pure la figura di un padre di famiglia che non vuole figli viziati o nullafacenti. In una intercettazione del 20 dicembre 2019 è stata registrata una conversazione ambientale tra lui, la moglie, la figlia e il figlio Francesco, «Ciccio». I magistrati hanno ricostruito che le lamentele del capo si riferivano alla gestione di una lavanderia del quartiere, «affidata a un prestanome, ma di fatto dei Caporrimo. In quella occasione il padre ha rimproverato ai figli che dovevano controllare l’attività di essersene disinteressati, provocando così un calo negli affari. Il boss si arrabbia, e li minaccia di mandarli a lavorare a «ottocento euro al mese come un qualsiasi commesso».