La “giustizia” di Calvaruso, il reggente del mandamento di Pagliarelli
Nel mandamento di Pagliarelli la “giustizia” spesso era amministrata da Cosa nostra. Dopo due rapine ad un commerciante di detersivi, punizione esemplare
Dopo ogni operazione portata a termine dalle forze dell’ordine, le intercettazioni lasciano intravedere situazioni che testimoniano quanto potere abbia ancora la mafia in alcuni ambienti, e come spesso continui a gestire la sua “giustizia”, sostituendosi allo Stato. Giuseppe Calvaruso, arrestato all’aeroporto di Palermo la vigilia di Pasqua, era diventato il reggente del clan di Pagliarelli dopo l’arresto di Settimo Mineo avvenuto alla fine del 2018. Ed era uno dei capi mandamento più “ortodossi” nella gestione del territorio di sua competenza, con estorsioni a tappeto e pugno duro contro chi sgarrava. Nessuna azione criminale era tollerata senza autorizzazione del boss, nessuna attività commerciale o artigianale apriva poteva iniziare senza l’ok di Cosa nostra. Calvaruso e il suo braccio destro Giovanni Caruso gestivano il mandamento con le vecchie regole mafiose, dove chi sgarrava veniva punito in maniera esemplare. Come dimostrato da un paio di storie esemplari.
DUE RAPINE IN CINQUE GIORNI
Un imprenditore nel settore dei detersivi, Francesco Paolo Bagnasco, si era rivolto a Cosa nostra dopo avere subìto due rapine in cinque giorni. Il 29 agosto e il 3 settembre 2019 vengono portati via 4.500 e 2.800 euro. Ed era esasperato, ovviamente. Telefona a qualcuno che sicuramente saprà aiutarlo. Ma non si rivolge né ai carabinieri, né alla polizia. Chiama Giovanni Caruso, il braccio destro di Calvaruso. Che non perde tempo: si attiva e in poco tempo le sue “forze dell’ordine” rintracciano gli autori dei colpi. I tre rapinatori, identificati dalle telecamere della video sorveglianza dei negozi, vengono “arrestati” e rinchiusi in un garage. Vengono sottoposti ad un processo sommario, al quale segue una punizione esemplare. Vengono pestati a sangue. Ecco la “giustizia” veloce di Cosa Nostra.
RITROVATA UNA LANCIA Y SPARITA
Nel Villaggio Santa Rosalia succede che una donna non trova più l’auto che aveva posteggiato sotto casa, una Lancia Y. Si reca al commissariato, fa la denuncia, ma il marito invece preferisce seguire un altro percorso. Probabilmente lo ritiene più veloce e con un esito positivo garantito. Si rivolge a un pasticciere della zona che a sua volta coinvolge il mafioso di quartiere, Giovanno Caruso: «Non ti dico niente Giovà. È una persona che merita se no non ti avrei detto niente, sarei venuto io qua…».
Caruso sa a chi rivolgersi per avere giustizia, sa perfettamente chi vive rubando le auto. Ed infatti la Lancia Y viene subito ritrovata. Però c’è la denuncia. Che si fa? La donna telefona al commissariato e dice: «Salve, io chiamavo perché stamattina mi sono recata al commissariato Oreto per fare la denuncia di un’autovettura che mi era stata rubata ieri pomeriggio, sotto casa. Adesso, praticamente, mio marito è sceso a buttare la spazzatura e c’è la macchina giù». Tutti a posto.