“Io ieri mi sono nuovamente sentito offeso e la memoria di Giulia umiliata”. A scrivere così sui social è Gino Cecchettin, papà di Giulia, che affida a un post l’amarezza provata dopo l’udienza di ieri che ha visto l’arringa in difesa di Filippo Turetta. “La difesa di un imputato è un diritto inviolabile, garantito dalla legge in ogni stato e grado del procedimento – ha scritto Cecchettin -. Tuttavia, credo che nell’esercitare questo diritto sia importante mantenersi entro un limite che, pur non essendo formalmente codificato, è dettato dal buon senso e dal rispetto umano. Travalicare questo limite rischia di aumentare il dolore dei familiari della vittima e di suscitare indignazione in chi assiste”.
Il riferimento è alle parole che l’avvocato Giuseppe Caruso ha pronunciato martedì per chiedere che non venissero applicate a Turetta le aggravanti che lo porterebbero all’ergastolo, in particolare quella della premeditazione. “Filippo Turetta sa che dovrà fare molti anni di galera, ma non è el Chapo, non è Pablo Escobar“, ha detto nel corso della sua arringa.
“Giulia Cecchettin – ha sostenuto in aula il legale – non aveva paura di Filippo Turetta. Andava da uno psicologo, ma non ci risulta che fosse per la relazione con Filippo. Nessuno dubita che Filippo fosse ossessionato da Giulia ma i tanti messaggi da ‘relazione tossica’ non possono essere relativi alla loro relazione prima dell’ottobre 2023”.
La replica dei legali del giovane, lo stesso Caruso e Monica Cornaviera, alle parole di Gino Cecchettin arriva attraverso Ansa. “Come difensori – hanno commentato – siamo assolutamente certi di non aver travalicato in alcun modo i limiti della continenza espressiva, e di non aver mancato di rispetto a nessuno. Abbiamo solo svolto il nostro dovere in uno Stato di diritto”.