La nave di Gela: dove vederla dopo 2500 anni

Finalmente si potrà ammirare la nave nel 2021 dopo il restauro avvenuto in Inghilterra in occasione della mostra sul mito di Ulisse.

Nave

Era diretta proprio al porto di Gela la nave che nel 480 a.C. naufragò davanti alle coste della città greca, a circa 800 metri dal Bosco Littorio, l’emporio antico della città dove confluivano le merci pregiate provenienti dai mercati dell’Egeo e dell’Attica.

Un naufragio di 2500 anni fa, probabilmente dovuto alle condizioni meteomarine, che ci ha consentito di potere studiare e finalmente esporre un raro esempio di nave mercantile così antica.

Dopo il recupero totale dai fondali gelesi, avvenuto nel 2008, la nave è stata inviata presso i laboratori specializzati “Mary Rosy Archeological Service” di Portsmouth, in Inghilterra, per il restauro. Nel luglio del 2014, le 40 casse con il relitto smontato e restaurato, sono rientrate in Sicilia, al Museo archeologico di Gela e fino al 2019, sono rimaste “clamorosamente” conservate in attesa del rimontaggio dell’imbarcazione per la pubblica fruizione.

Quest’anno, per la prima volta, la nave è stata parzialmente rimontata a Forlì, in occasione della grande mostra “Ulisse, l’arte e il mito”. Una struttura portante trasparente, appositamente realizzata, ha consentito la prima parziale esposizione di uno dei più importanti reperti navali antichi al mondo, dopo che un recente sopralluogo effettuato da parte dei tecnici della Regione Siciliana aveva verificato il buono stato di conservazione dei reperti, nonostante il lungo tempo trascorso all’interno delle casse rientrate dall’Inghilterra.

Adesso la nave finalmente avrà la sua giusta collocazione. Nel 2021 la mostra sul mito di Ulisse sarà organizzata in Sicilia, a Gela, proprio nel luogo dove era diretta la nave nel V secolo a.C. Un grande evento che vedrà protagonista principale la nave arcaica ricostruita, e che, lungo un percorso espositivo curato da un importante comitato scientifico, consentirà di ammirare anche straordinari reperti custoditi nei musei siciliani che forniranno un quadro d’insieme sul mito di Ulisse.

La storia del recupero e del restauro

Il ritrovamento avvenne nel 1988, grazie a due subacquei che dopo la scoperta, consegnarono al Museo di Gela alcuni reperti rinvenuti durante un’immersione in contrada Bulala. La Soprintendenza ai Beni culturali di Agrigento prima, e quella di Caltanissetta dopo, avviarono indagini subacquee che portarono alla scoperta del relitto a circa cinque metri di profondità.

Grazie a diverse campagne di scavo subacqueo, è stato possibile recuperare il carico dell’imbarcazione, ma anche studiare le caratteristiche strutturali di una nave mercantile, una delle poche in così buono stato di conservazione ritrovate nel Mediterraneo.

Dopo il recupero, le delicate strutture lignee sono state inviate al laboratorio di Portsmouth e sottoposte al trattamento di restauro utilizzando il metodo del PEG, un sistema di consolidamento del legno a base di polietilenglicole. La Sicilia, ancora oggi, non possiede un laboratorio di studio e restauro del legno bagnato, una grave mancanza per una terra che possiede un patrimonio archeologico subacqueo di prim’ordine, unico al mondo.

Dagli studi effettuati, si è stabilito che l’imbarcazione naufragò a soli 800 metri dalla costa, prima di scaricare le merci nelle piccole botteghe che dal porto, ubicato presso la foce del fiume Gelas, arrivavano fino alla località attualmente conosciuta come Bosco Littorio, dove è stata scoperta una grande parte dell’antico insediamento commerciale.

La Nave

L’imbarcazione, che giaceva a una profondità di circa cinque metri, è un veliero dalla forma larga e tozza di circa 20 metri di lunghezza e quasi 7 di larghezza, realizzato con la tecnica a “guscio” e con una struttura portante esterna costituita da un fasciame di tavole di legno di pino. Queste erano legate da corde vegetali, passanti entro fori, e connesse mediante parti lignee cilindriche, poste ad intervalli regolari. La tecnica a “guscio” e l’uso delle cuciture, erano conosciute fin dai tempi di Cheope (III millennio a.C.). Le tracce di tessuto rinvenute in corrispondenza delle giunture delle tavole e il rivestimento interno di pece, avevano lo scopo di impermeabilizzare lo scafo, forse protetto esternamente da lamine di piombo.

Il carico

La nave trasportava un carico costituito da beni di pregio (ceramica attica figurata e a vernice nera, ceramica laconica, oggetti in bronzo, anfore vinarie e olearie) e da una grande quantità di vasi di produzione coloniale, la cui presenza consente di ipotizzare che il mercantile navigasse soprattutto lungo brevi tratti della costa siciliana e della Magna Grecia, effettuando numerosi scali nei vari empori dove si svolgevano le operazioni di scarico e di carico della merce o della zavorra, utile a riequilibrare il peso della nave, come dimostrano le numerose pietre ritrovate sul relitto.

Altri oggetti offrono interessanti informazioni sulla vita di bordo. Otto cestini in fibra vegetale con manico in legno, contenenti probabilmente derrate alimentari, erano destinati alla vendita, ovvero all’alimentazione dell’equipaggio, cui erano riservati i buoi, macellati in quarti e trasportati a bordo, dei quali sono stati individuati i resti delle carcasse. Un amo e una fuseruola fittile da rete dimostrano che i marinai si cibavano anche di pesce, mentre alcuni contenitori da cucina, le ciotole, le brocche e le lucerne con ampie tracce di combustione, erano gli altri oggetti della vita quotidiana. Uno zufolo fittile serviva probabilmente ad impartire ordini ai marinai durante il corso della navigazione.

Alle pratiche di culto che si svolgevano durante la navigazione, come ricordano Omero e Tucidide, potrebbero essere ricondotte quattro arule fittili a decorazione dipinta, un cinghialetto fittile, una statuetta lignea, di cui è stato rinvenuto il piccolo braccio, e la statuetta fittile di una divinità seduta.

Tra gli ospiti della nave vi erano probabilmente un mercante, cui doveva appartenere uno stilo in osso destinato ad incidere le tavolette di legno, spalmate di cera che venivano utilizzate per redigere il giornale di bordo, e un personaggio di ceto elevato, forse proprietario di una fibula di argento ritrovata durante la campagna di scavo.

Quindi una storia affascinante, per un relitto di rara importanza e forse ancora non troppo conosciuto e valorizzato. Il prossimo anno potrebbe essere quello del riscatto della nave di Gela che ha atteso – non per sua colpa – 2500 anni sotto al mare, e altri diciotto – per colpa dell’uomo – relegata in casse di legno.