L’arresto di Messina Denaro e il ritorno dell’Antimafia in tv, ma verità e giustizia latitano ancora

Messina Denaro

L’arresto di Matteo Messina Denaro dopo 30 anni di (quasi) indisturbata latitanza è una svolta storica. Lo è per le vittime della brutalità mafiosa del padrino di Castelvetrano, lo è per i tanti servitori dello Stato impegnati da decenni nelle sue ricerche e lo è, inevitabilmente, per chi continua a cercare verità e giustizia. Ma nel corso di questo lunghissimo 16 gennaio, siamo stati testimoni anche di qualcos’altro a cui, dolorosamente, noi italiani siamo abituati: al trionfo dell’ipocrisia, alla ribalta dei professionisti dell’antimafia e a un’informazione generalista (soprattutto nazionale) sporcacciona e confusionaria. Nel corso dei vari collegamenti televisivi si è sentito veramente di tutto, ma citeremo giusto qualche scempiaggine facilmente verificabile sul web. 

Matteo Messina Denaro arrestato “nella sua città”

Nel corso di Tagadà, in onda su La7, la conduttrice Tiziana Panella afferma a più riprese che Matteo Messina Denaro avrebbe vissuto per 30 anni indisturbato nella “sua città”, Palermo, senza che nessuno se ne accorgesse. Nessuno in studio ha battuto ciglio o si è sentito in dovere di rettificare questa affermazione. Che fosse il boss di Castelvetrano e che avesse la sua roccaforte in quel territorio (distante circa 110 km da Palermo, un po’ come Milano e l’emiliana Fidenza), pare non fosse noto ai giornalisti. Subito dopo, sempre nella stessa trasmissione, ci si è avventurati nelle più spericolate ipotesi investigative “last minute” sui possibili rapporti (storicamente appurati) tra mafia e sanità privata. Ed ecco che vengono snocciolati i dati sulla clinica La Maddalena dove è stato catturato il padrino del Trapanese: le decine di migliaia di pazienti curati, gli oltre 50 milioni di euro di giro d’affari annuo e i recenti lavori di ampliamento della struttura. Insomma, troppo per la sanità siciliana: ci deve sicuramente essere dietro qualcos’altro. Sospetto lanciato in diretta, pubblicità, e al rientro si parla subito di altro. 

Matteo Messina Denaro arrestato in pieno centro 

Poi tocca al palermitanissimo Nino Di Matteo, consigliere del Csm e tra i principali autori dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Dichiara con fermezza a Sky Tg24 che Messina Denaro è stato arrestato “nel pieno centro di Palermo”. Che la clinica La Maddalena si trovasse in realtà nel quartiere San Lorenzo, a due passi dallo Zen e anche dalle arterie autostradali che collegano Palermo con il Trapanese, evidentemente deve essere sfuggito. Apparentemente un errore veniale, ma se analizziamo quanto detto da Di Matteo (sicuramente per leggerezza) e quanto poi ribadito dagli altri media (sicuramente per incompetenza e ignoranza) emerge una narrazione del fenomeno mafioso nel contesto palermitano molto chiara: nel capoluogo siciliano boss super latitanti e criminali di ogni genere sono liberi di passeggiare in centro città e di recarsi nelle cliniche senza timore alcuno. Perché? Perché c’è complicità e omertà. Un bel quadretto consolidato e rassicurante per chi fa informazione oltre lo Stretto: nessuno può smentirli.

Matteo Messina Denaro coperto “da mezza Sicilia” 

”Penso che l’abbia coperto mezza Sicilia, adesso il ‘divertimento’ degli inquirenti sarà di andare a scovare tutti quelli che lo hanno protetto in questi anni”. Questa volta a parlare non è un conduttore qualunque, ma l’anziano ed esperto Maurizio Costanzo. Uno che il terrore mafioso l’ha vissuto sulla propria pelle essendo sfuggito nel 1993 a un attentato dinamitardo insieme alla compagna Maria De Filippi.

Eppure, nonostante il suo comprovato impegno contro la mafia e l’amicizia con Giovanni Falcone, pare avere capito pochino di cosa serva a un mafioso per potere “sparire” dalla circolazione. Secondo Costanzo, magari, con qualche autista volenteroso, dei vicini di casa poco curiosi e dei medici sbadati si possono pianificare stragi, organizzare ed eseguire omicidi, muovere milioni e milioni di euro senza essere scoperti per 30 anni. E noi che pensavamo che un ruolo potessero averlo servizi segreti deviati, la massoneria (cui Costanzo è storicamente appartenente), la politica compiacente e così via. Effettivamente è Cosa Nostra, cosa siciliana. O quantomeno, di mezza Sicilia. E basta. 

Le stragi, l’agenda rossa, il covo di Riina e lo scoop di Baiardo: verità latitanti

L’elenco di strafalcioni, banalità e ipocrisia potrebbe continuare a lungo ma il nostro giornale cerca di non tediare nessuno. Certo è, però, che all’indomani dell’arresto di MMD (come adesso lo chiamano i più “lagnusi”), vi sono decine di interrogativi e misteri che questo Paese continua a portarsi dietro come un pesantissimo fardello.

Sembra essere sempre più accreditata la tesi secondo cui la famosa agenda rossa di Borsellino sia passata nelle mani di Messina Denaro all’indomani della strage di via D’Amelio e che proprio questo ricchissimo bottino di guerra abbia garantito al pupillo di Riina un enorme potere. Il potere di ricattare tutti, a qualsiasi livello. Secondo quanto dichiarato a Report da Salvatore Baiardo, storico fiancheggiatore dei fratelli Graviano e oggi pentito di mafia, Messina Denaro sarebbe il custode non solo dell’agenda rossa (detenuta a quanto pare da più persone in diverse copie), ma anche il famigerato tesoro costituito da libri mastri e pizzini trafugati dal covo di Riina in via Bernini prima della tardiva perquisizione delle forze dell’ordine. Lo stesso Baiardo, di recente, aveva persino annunciato a Giletti l’imminente cattura di “‘u siccu” come conseguenza di accordi ad altissimi livelli. “Un regalino” per il nuovo governo, sottolineava. Sarà stato fortunato nella sua previsione, chissà. 

Ma non c’è solo Baiardo, sulla cui attendibilità occorrerà indagare ulteriormente, a dipingere certi scenari. L’ex mafioso Nino Giuffrè, oggi potente pentito di mafia e nemico giurato di Messina Denaro (che ne avrebbe persino ordinato l’esecuzione), fornisce indicazioni assolutamente sovrapponibili con quelle di Baiardo: il ruolo della politica nelle stragi di Capaci e via D’Amelio, la sparizione dell’agenda rossa, la morte di Calvi, gli omicidi di Lima e persino la figura di Andreotti.

Ecco, sono proprio queste le verità che vorremmo emergessero dagli imminenti interrogatori e dai futuri processi che attendono l’ormai ex latitante nelle prossime settimane. Ci interessano francamente meno i selfie con i medici della clinica, i dettagli su abiti e accessori di lusso indossati al momento della cattura e la sua famigerata attività di sciupafemmine. Sono solo banali note di colore che aiutano noi giornalisti ad aumentare le letture e Messina Denaro ad accrescere il proprio mito.

Il re è nudo e il popolo se n’è accorto 

Con l’arresto di Messina Denaro si è raggiunto un grande traguardo, nessuno può negarlo, ma senza ulteriori sviluppi il tutto rischia di assumere i contorni di una vera e propria Caporetto della giustizia. E questo avrebbe effetti devastanti sull’opinione pubblica, sulla credibilità delle istituzioni e persino sul ruolo di noi giornalisti. È la tenuta democratica stessa a essere in discussione, per chi non l’avesse capito. Per decenni siamo andati avanti raccontandoci e raccontando che i fiumi di sangue e disperazione sparsi in questo Paese fossero una diretta responsabilità della comunità che popolava e popola una precisa area geografica. Della sua complicità morale, della sua omertà, della sua arrendevolezza e persino della sua indole.

Questa narrazione pigra, stantia e anacronistica adesso però non regge più e non basta più. Le commemorazioni, le targhe, le parate di personaggi improbabili e impreparati, le navi cariche di bambini che sbarcano a Palermo come fossero stati inviati su un altro continente a supportare un altro popolo appartengono a un’altra era. Adesso il re è nudo e il popolo se n’è accorto. I siciliani se ne sono accorti.