Libero Grassi e la dignità violata dalla mafia

L’omicidio di Libero Grassi fu il prologo di quello che molti definiscono come l’attacco al cuore dello Stato. Precedette la stagione delle stragi di poco meno di un anno e se le dinamiche furono diverse, l’obiettivo dell’eliminazione fisica dell’imprenditore non si discosta dalla necessità di cancellare le figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Colpirne uno per educarne cento, una filosofia storicamente non estranea alle regole della mafia siciliana e che in quel tempo fu ancora più imperante, strategicamente necessaria, imposta da una Cupola che temeva l’assalto al proprio portafogli più che gli anni di galera di questo o quell’altro boss, tanto i mammasantissima stavano al coperto, sempre in grado di dettare legge.

L’omicidio di Libero Grassi può inquadrarsi nello stesso filone di quello di Pio La Torre, il messaggio arrivò forte e chiaro: chi tocca i soldi della mafia, muore. Chi intacca, anche solo di riflesso, gli interessi della mafia, muore. Figurarsi la fatica a trovare un killer disposto a uccidere un uomo solo e senza protezione, nonostante le denunce e la sfrontatezza del suo “io non pago”.

Quella mafia che non temette di fare il botto con Falcone e Borsellino si impossessò della vita di Libero Grassi senza scomodarsi troppo, quasi che il destino dell’imprenditore fosse già stato scritto il giorno in cui osò alzare la cresta. E che quel destino fosse noto a tutti, per primo a Libero che non modificò alcuna sua abitudine e andò contro al martirio con la consapevolezza che in una terra come la nostra, quasi 30 anni fa, non c’era difesa possibile se la mafia aveva il colpo in canna.

A Libero non furono concessi i tempi supplementari, come scrivemmo qualche anno fa. Una riflessione ancora attuale che vogliamo riproporvi.

… i supplementari rappresentano la necessità di allungare la partita e segnalano che si è fermi al punto di partenza. Sono quel tempo in più che la vita ti concede per scrivere compiutamente il tuo destino. Quel tempo che a Libero Grassi è stato rubato, negato. In questi anni tanto si è parlato dell’esempio dell’imprenditore palermitano, del suo no al pizzo, passaggio fondamentale e primordiale ribellione contro l’arroganza della mafia. E della sua solitudine, anzi più corretto forse parlare di isolamento, perché la solitudine puoi anche sceglierla, l’isolamento invece…

Lasciato solo dalle istituzioni e dai suoi stessi colleghi, persino deriso nelle stanze del potere per quel suo istintivo moto di rabbia, “figlio di un’imperdonabile ingenuità”. Così si disse ed è giusto non dimenticarlo mai. L’inizio degli anni ’90 ha segnato uno dei periodi più bui della storia della Sicilia e di Palermo, noi l’assalto al cuore dello Stato l’abbiamo visto ogni giorno e sotto ogni sua forma.

I tempi supplementari: se lo Stato non aveva vinto è vero anche che non perse mai del tutto la sua partita.  Sono stati giocati i tempi supplementari ma con Libero in tribuna, a guardare dall’alto e a benedire la forza interiore della moglie Pina e dei figli Davide e Alice, la rinnovata energia delle Istituzioni nel combattere la sopraffazione criminale, l’impegno quotidiano che cominciava a sostituire quel girare le spalle tipico della borghesia palermitana nella quale allignava la più insidiosa delle contaminazioni affaristico mafiose.

Il lascito di Libero ha la forma della dignità. Parola che troppo spesso, dalle nostre parti, continua a essere fuori moda. E anche per questo è opportuna segnarla con l’evidenziatore.

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