Home Cronaca di Palermo La ribellione degli imprenditori ai boss:«I piccioli non cadono dal cielo, ce li sudiamo!»

La ribellione degli imprenditori ai boss:«I piccioli non cadono dal cielo, ce li sudiamo!»


Redazione PL

Dalle intercettazioni fatte dai carabinieri agli imprenditori nell'ambito dell'operazione "Cassandra", viene fuori il coraggio di chi non ha voluto piegarsi alle prevaricazioni degli uomini della malavita

Che i tempi siano cambiati, facendosi più duri anche per i malavitosi è ormai acclarato. Roba impensabile nei decenni scorsi, oggi gli imprenditori trovano sempre più spesso il coraggio di denunciare. Uno dei motivi di cotanto coraggio, anzi, stando alle intercettazioni audio delle Forze dell’ordine, forse il motivo principale, è dovuto al fatto che a strangolarli ci pensa ormai da tempo la crisi economica. Di seguito le registrazioni di alcuni colloqui intrattenuti tra gli imprenditori vessati dalla Mafia nell’ambito dell’Operazione Cassandra, che ha portato a decapitare il mandamento Misilmeri-Belmonte Mezzagno grazie all’arresto di 8 uomini.

“Abbiamo sbagliato a non venire subito a denunciarli a queste cose inutili! Ormai sono i tempi che si fanno queste cose, basta! Si denuncia e basta!” e “non c’è niente da studiare, mi dispiace, ma peggio per loro… Loro queste cose non le devono fare, lo devono capire!” Questo il tenore del grido d’allarme lanciato da un imprenditore durante il colloquio con i soci avvenuto nel 2018. Nella fattispecie, l’intento era quello di sottrarsi alla pretesa del pizzo dei boss di Misilmeri, ammontante a 10 mila euro in relazione alla costruzione di una palazzina di 4 piani. E grazie ai moderni cellulari, che permettono l’agevole utilizzo dei registratori, gli imprenditori hanno registrato i colloqui intrattenuti con gli stessi boss, denominati “Stronzo 1” e “Buffone”, per poi, tra mille, legittime incertezze recapitarli ai carabinieri. 

Una vera e propria ribellione quella che si evince dall’inchiesta “Cassandra”, ancora più apprezzabile in quanto scaturita nel contesto di un piccolo comune, laddove è più facile che certe “pratiche” vengano tutt’oggi considerate normali, anzi, dovute. E invece no, perchè, questa volta, il coraggio degli imprenditori è venuto fuori in tutta la sua forza. Tutto ebbe inizio nel 2017, quando il boss Sucato avvicinò il padre di un imprenditore chiedendogli di convincere il figlio ad abbassarsi alle pretese del pizzo sulla costruzione di una palazzina comprendente 14 appartamenti, “perchè a Palermo ci sono persone che devono campare le famiglie dei carcerati”. Richiesta rispedita al mittente, anzi, affrontata a quattr’occhi dagli stessi costruttori stanchi di essere vessati. Neanche la minaccia di Sucato di volere mettere al corrente il boss Totino Sciarabba avrebbe sortito effetti. 

La determinazione degli imprenditori è stata tale da indurli a recarsi direttamente a casa di Bonanno. “Non ti permettere più a venire a chiedere queste cose, noi non paghiamo a nessuno’. Del medesimo tenore le parole rivolte in seguito a Sucato. “Io e mio fratello gli intimavano di non passare più da noi perché non avremmo pagato nessuno né lui, né Bonanno, né Sciarabba. Sucato diceva che la richiesta estorsiva serviva per le famiglie bisognose e mio fratello opponeva l’esosa pretesa di 10 mila euro. Sucato diceva che 10 mila euro era la cifra di partenza perché poteva essere scalata fino a 3-4 mila euro”. Nulla da fare, gli imprenditori non hanno battuto ciglio. “Noi rispondevamo che non avremmo mai pagato e che eravamo disposti a denunciare tutti. Alla parola denuncia, Sucato di spaventava e mi diceva: ‘Non lo fate perché con quello che ho già passato non esco più’. Dopo di ciò non è venuto più nessuno”. 

Con fare accorato venivano poi spiegati i motivi della volontà di non sottostare a determinate richieste, quasi tutti riconducibili al bisogno, in tempo di crisi di portare a casa un pezzo di pane per sfamare i propri figli.


“Certo loro non è che lo capiscono, però… Loro non è che lo capiscono, uno la paura che ha, la paura perché giustamente uno si spaventa, uno per paura non lo fa, giusto? Loro lo capiscono, si mettono nei panni nostri?”. E si dicevano: “Giustamente, ho la famiglia”, “io ho due picciriddi”, “le aziende” e ancora: “Ho casa, ho macchina fuori… Uno per paura giustamente, ho un furgone messo fuori però lo bruciano e mi fanno un mare di danno… Uno per paura perché dovrebbe venire? Sarebbe giusto venire subito a denunciare… Per un appartamento che uno deve fare uno ci deve dare 10 mila euro, 3 mila euro ad appartamento, pare che noialtri i picciuli ci vengono soli, andiamo per guadagnarli, per guadagnare mille euro, dobbiamo correre dalla mattina alla sera”.

Non mancano infine i riferimenti a quali sarebbero potuti essere i commenti dei mafiosi davanti alla reticenza di pagare il pizzo.

“Certamente tra loro hanno parlato… ‘Quei cornuti non vogliono pagare, quei crasti gli dobbiamo far saltare la macchina, ci dobbiamo mettere un bomba’, qualche fesseria l’avranno detta e questi per risalire a noi un filo conduttore ci deve essere… Bonanno capace che si caca di sopra, capace che ci cascittia tutte cose, ci cascittia nel senso che fa il collaboratore, perché si sentono tutti mafiosi quando…”

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