Mafia, colpo alla famiglia di San Giuseppe Jato: 10 provvedimenti cautelari

Le ipotesi di reato sono di associazione di tipo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, cessione di sostanze stupefacenti e accesso abusivo a sistema informatico.

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All’alba di oggi, 25 ottobre, i militari del Nucleo Investigativo del Gruppo Carabinieri di Monreale hanno eseguito, nell’ambito dell’operazione anti mafia “Jato Bet”, 10 provvedimenti cautelari tra San Giuseppe Jato e San Cipirello, nel Palermitano. Di questi, otto sono in carcere e uno ai domiciliari; presente infine una sospensione dall’ufficio o servizio. Ad emettere i provvedimenti l’ufficio G.I.P. del Tribunale di Palermo.

L’indagine dei militari è stata diretta da un pool di magistrati della locale Direzione Distrettuale Antimafia, coordinati dal Procuratore Aggiunto Salvatore De Luca. Le ipotesi di reato sono di associazione di tipo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, cessione di sostanze stupefacenti e accesso abusivo a sistema informatico.

Operazione anti mafia “Jato Bet”

Le condotte di reato contestate agli indagati, sei dei quali sono ritenuti affiliati alla famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato (inquadrata nell’omonimo mandamento mafioso), sono relative al periodo compreso tra il febbraio 2017 ed il novembre 2019. In questo arco di tempo, il Gruppo di Monreale ha condotto il monitoraggio degli assetti criminali interni allo storico mandamento mafioso jatino, così come si sono ridefiniti dopo le operazioni “Nuovo Mandamento” (2013), “Quattro. Zero” (2014), “Montereale” (2016) e “Nuovo Papa” (2017).

Secondo quanto ritenuto nel provvedimento cautelare sulla base di gravi indizi, gli associati hanno esercitato il controllo del territorio attraverso la realizzazione di estorsioni nel territorio di San Giuseppe Jato, in particolare a danno di un centro scommesse. Hanno devoluto, inoltre, gran parte dei proventi così ottenuti in favore delle famiglie degli associati detenuti.

Si segnala, inoltre, l’espansione imprenditoriale nel settore edilizio, attraverso il conseguimento di diversi appalti, sia nella valle dello Jato che a Palermo. Gli associati jatini sarebbero infatti entrati in relazione con esponenti di famiglie mafiose del centro; a queste corrispondevano somme di denaro quali “messe a posto” per lavori di edilizia privata eseguiti nelle zone di rispettiva operatività. 

Infine, la cessione di hashish tra Palermo, in particolare i mandamenti mafiosi di Santa Maria del Gesù e Porta Nuova, e San Giuseppe Jato.

Gli indagati

Le attività di indagine hanno tracciato il quadro di quanto accaduto dopo gli arresti di Bruno Ignazio, capo del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, e Simonetti Vincenzo, suo autista e consigliere. Il tutto è avvenuto nelle operazioni di polizia “Quattro.Zero” e “Montereale”.

I due uomini d’onore, anche durante la detenzione, hanno mantenuto stabili contatti con gli altri associati oggi destinatari del provvedimento cautelare. In particolare, le comunicazioni avvenivano con Licari Maurizio e Alamia Calogero. Quest’ultimo è il nipote di Alamia Antonino, elemento di vertice della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato e già individuato quale “cassiere” del mandamento; attualmente è detenuto. Ad Alamia Calogero si contesta il ruolo di promotore dell’organizzazione dal luglio del 2018.

Gli altri indagati per associazione mafiosa, tutti in qualità di partecipi, sono Tinjala Nicusor, Bommarito Giuseppe, storico esponente di ‘Cosa Nostra’ e già condannato a 10 anni e 6 mesi di reclusione per associazione di tipo mafioso ed estorsione (sentenza divenuta irrevocabile nel 2006). E ancora, i figli Bommarito Calogero e Bommarito Giuseppe Antonio. Il provvedimento eseguito oggi colpisce anche Giangrande Massimiliano, al quale non viene però contestato il reato associativo.

Estorsione a un centro scommesse

Vicenda sintomatica del controllo territoriale esercitato dalla mafia a San Giuseppe Jato è quella relativa all’estorsione a danno di un centro scommesse.

In più circostanze, tra cui le festività di Pasqua del 2017, il gestore ha consegnato agli indagati Licari Maurizio, Bommarito Giuseppe Antonio e Tinjala Nicusor somme di denaro; queste erano utilizzate sia per alimentare la “cassa” della famiglia mafiosa che per supportare i detenuti associati attraverso il sostentamento delle rispettive famiglie.

Coinvolto Comandante Polizia Municipale

Le indagini hanno documentato l’autorevolezza del capo famiglia Alamia Calogero all’interno di “Cosa Nostra” jatina. Grazie al suo intervento, infatti, nell’estate 2018, si sono risolti gravi contrasti tra membri della famiglia mafiosa che ambivano alla reggenza della stessa. Alamia avrebbe allora sollecitato gli associati a mantenere l’unità per non compromettere il potere della famiglia sul territorio.

Tra i destinatari del provvedimento cautelare eseguito vi è, infine, il già Comandante della Polizia Municipale di San Giuseppe Jato, oggi in pensione. I militari hanno applicato la misura della sospensione dall’ufficio o servizio. All’uomo si contesta infatti di essersi introdotto abusivamente nel sistema informativo dell’ACI per verificare l’intestatario della targa di un veicolo da cui erano stati scaricati rifiuti edili in un’area di quel centro monitorata da telecamere comunali. Nel dettaglio, il pubblico ufficiale avrebbe riferito, per sua iniziativa, l’esito dell’accertamento informatico svolto all’indagato Bommarito Giuseppe Antonio, consentendogli di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi.

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