“Mario Pupella ha letteralmente votato tutta la sua esistenza all’arte del teatro, alla cultura, all’umanità, ai sentimenti, all’emotività, cercando attraverso se stesso di fare del bene al mondo, arricchendolo sia con una risata che con una lacrima”: con queste parole, l’attore palermitano Antonio Ribisi La Spina, recentemente visto al cinema ne “La stranezza” omaggia l’artista, scomparso all’età di settantasette anni.
Un tributo commosso e consapevole, “perché il teatro mostra e dimostra l’immensità dell’uomo, tutta, svelandone contraddizioni e abilità”.
A legare i due artisti, entrambi poliedrici e trasversalmente impegnati tra cinema, teatro e televisione, non soltanto numerose e prestigiose esperienze di lavoro, ma anche un’amicizia intensa e schietta.
“Quello che mi resta, che mi resterà per sempre -afferma – sarà la sua incasinata voglia di far bene tutto e la sua capacità di insegnare teatro, con una delicatezza incomparabile: non si dimentichi la scuola da lui creata che ha sfornato ottimi attori”.
“Quando una gemma come Mario Pupella scompare, l’umanità perde una risorsa per capirsi, crescere e migliorare- osserva – perché un attore di teatro porta sempre con sé qualcosa in più e di prezioso che vuole condividere e capire assieme al pubblico: nel momento in cui muore, crolla un sipario sull’anima del mondo, e il palcoscenico dell’anima si svuota”.
Tanti sono i messaggi colmi di affetto e dolore che esponenti del mondo teatrale e dello spettacolo hanno dedicato al direttore del Teatro Sant’Eugenio di Palermo.
Parole legate dal filo rosso della stima per il suo immenso talento e dall’ammirazione per la sua personalità affascinante e ricca di sfumature.
“Era l’estate del 1983 – ricorda Antonio Ribisi La Spina – quando incontrai, per la prima volta, Mario Pupella”.
“Entrai in quello che, ai tempi, era il Teatro Europa in piazza San Lorenzo a Palermo – prosegue – e, vendendolo recitare, mi chiesi cosa mai fossi andato a fare e quando mai avrei potuto raggiungere quei livelli inarrivabili”.
In corso, c’erano le prove di “Tutto per quello”, una contaminatio da Terenzio, pensata a scritta da un altro grande, Salvo Licata.
“Non sapevo ancora – aggiunge – che la mia vita sarebbe stata segnata da quell’incontro”.
Sì, una vita intera, perché i due attori hanno condiviso il palcoscenico fino allo scorso 4 dicembre, per l’ultima volta in occasione dell’ennesima replica – se ne contano oltre quattrocentocinquanta – de “I Malavoglia” nell’adattamento che Mario stesso aveva fatto dell’opera di Giovanni Verga.
E non è azzardato affermare che si tratti di uno degli adattamenti più riusciti di sempre, grazie al felice connubio tra rigore letterario e originale genialità.
In mezzo, ci sono state esperienze di altissimo profilo quali “L’ alchimista” di Ben Johnson, “La giara” e “L’uomo, la bestia e la virtù” di Luigi Pirandello, “Le cocu magnifique” di Fernand Crommelynck e “Il gioco dell’amore” di Pierre de Marivaux.
“Dei quarant’ anni trascorsi non è facile scegliere un ricordo che sintetizzi tutto – osserva – troppi avvenimenti, troppe condivisioni, litigate e complicità, nella vita e sul palco: troppo di tutto”.
” E ora – continua – lo aspetta il palcoscenico del cielo dove, di certo, anche dietro le quinte ruberà a qualcuno una boccata al volo dell’ennesima sigaretta”.
“Per ricordarlo – conclude – mi piace usare le parole di un anonimo: quando muore un attore, si spegne una stella capace di illuminare percorsi sconosciuti di cui tutti abbiamo bisogno”.