Matteo Messina Denaro, la rabbia in carcere: “Ai tg solo balle su di me”

Intanto Giovanni Luppino, l’uomo che il giorno dell’arresto aveva accompagnato il boss a Palermo, ha rinunciato al ricorso al Tribunale del Riesame contro la custodia cautelare in carcere

Messina Denaro

“Sono inc*****o per le notizie che apprendo nei telegiornali”. Così, Matteo Messina Denaro, detenuto nel carcere di massima sicurezza dell’Aquila in regime di 41-bis, avrebbe affermato secondo la testimonianza di fonti sanitarie e penitenziarie. Secondo il boss, ex latinate, in televisione “vengono raccontate balle, ed è tutto frutto di fraintendimenti”.

Matteo Messina Denaro, la malattia e le cure

Diversamente da quanto accaduto durante i primi giorni di reclusione, il capomafia starebbe guardando con attenzione la televisione. Intanto prosegue anche le cure contro il male che lo affligge. Lunedì mattina si è sottoposto alla seconda seduta di chemioterapia in carcere; ad assisterlo l’equipe di oncologi dell’ospedale San Salvatore, guidata dal primario Luciano Mutti. Matteo Messina Denaro riceve la somministrazione della terapia per il tumore al colon nell’ambulatorio allestito appositamente di fronte alla sua cella. Sarebbe fiducioso verso i medici e in buone condizioni. Quanto alla malattia, si dichiara “fatalista”, con un atteggiamento positivo verso le cure. “Il paziente è in buone condizioni, ha appetito, è riposato, sono buoni indicatori”, emerge dalle fonti.

Luppino rinuncia al ricorso

Intanto Giovanni Luppino, l’uomo che il giorno dell’arresto aveva accompagnato Messina Denaro a Palermo, ha rinunciato al ricorso al Tribunale del Riesame contro la custodia cautelare in carcere. I pm gli contestano i reati di procurata inosservanza della pena e favoreggiamento, entrambi con l’aggravante mafiosa.

In vista dell’udienza al Riesame, la Procura aveva depositato agli atti una foto trovata sul suo cellulare. Lo scatto ritrae l’Alfa Romeo Giulietta del capomafia parcheggiata davanti a casa sua il 25 dicembre scorso. Si tratta di una circostanza che smentisce la tesi difensiva dell’indagato, dal momento che questi aveva raccontato durante l’interrogatorio di garanzia di aver conosciuto il boss sei mesi prima col nome di Andrea Bonafede e di averlo rivisto solo la mattina dell’arresto. 

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