Matteo Messina Denaro, dalla strage di Capaci all’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo: tutte le condanne

La latitanza di Matteo Messina Denaro era iniziata nel 1993: il suo curriculum criminale annovera alcuni dei fatti di cronaca che più hanno sconvolto l’opinione pubblica nel nostro Paese

matteo messina denaro

L’arresto di Matteo Messina Denaro, messo a segno a Palermo il 16 gennaio 2023, mette fine a una delle più lunghe latitanze di un boss di Cosa Nostra. Di “Diabolik” – questo uno dei suoi soprannomi – non si avevano nemmeno foto segnaletiche: l’ultima fotografia nota lo ritraeva ancora giovane, tutt’al più erano disponibili delle immagini frutto di invecchiamenti realizzati mediante sistemi informatici. Solamente oggi, dopo la cattura, è stata diffusa la fotografia segnaletica aggiornata del capomafia.

Dopo l’arresto di Totò Riina e Bernardo Provenzano, Matteo Messina Denaro costituiva l’ultimo dei vecchi padrini di Cosa Nostra. Tante volte le forze dell’ordine erano state vicine alla sua cattura, ma poi era sempre riuscito a fuggire. Perlomeno fino ad oggi, quando i carabinieri del Ros lo hanno tratto in arresto nei pressi della clinica La Maddalena, dov’era in cura, pare, per un tumore al colon.

Matteo Messina Denaro, la latitanza e le stragi

La latitanza di Matteo Messina Denaro era iniziata nel 1993. L’ultima traccia una vacanza a Forte dei Marmi in compagnia dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, altri due boss mafiosi. Dopo di che se ne persero le tracce. 

Il padrino trapanese è stato condannato all’ergastolo per diversi omicidi commessi tra gli anni ’80 e ’90. Il suo curriculum criminale annovera una serie di accuse e condanne all’ergastolo per reati come omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo. Il suo nome figura, ad esempio, tra i mandanti della strage di Capaci, dove il 23 maggio del 1992 persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. 

È anche tra i condannati per la strage di via D’Amelio, che il 19 luglio 1992 vide l’uccisione del giudice Paolo Borsellino e di cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli.

Le stragi del ’92 non sono le uniche delle quali Matteo Messina Denaro è ritenuto responsabile. Il suo nome si lega infatti anche alla strage dei Georgofili, a Firenze, risalente alla notte tra il 26 e il 27 maggio del 1993. L’esplosione di un’autobomba nei pressi della Galleria degli Uffizi provocò cinque morti e oltre quaranta feriti. Alla lista si aggiunge anche la strage di via Palestro, consumatasi il 14 maggio del 1993 a Milano, nei pressi della Galleria d’Arte Moderna. Anche in questa occasione, l’esplosione di un’autobomba provocò cinque morti e dodici feriti.

L’attentato a Maurizio Costanzo

Un’autobomba esplose anche il 14 maggio del 1993 nei pressi dell’abitazione di Maurizio Costanzo, in via Ruggero Fauro, a Roma. In quegli anni il giornalista era infatti molto impegnato a contrastare il messaggio mafioso mediante le sue trasmissioni: dopo l’omicidio di Libero Grassi, ad esempio, insieme a Michele Santoro realizzò una maratona televisiva a reti unite Rai-Fininvest dedicata proprio alla lotta alla mafia. A renderlo scomodo anche il rapporto con Giovanni Falcone, più volte presente in studio. In occasione dell’attentato del 1993 non si registrarono morti ma 24 feriti, tra cui l’autista e una delle guardie del corpo di Costanzo.

Matteo Messina Denaro e la morte del piccolo Di Matteo

Il nome di Matteo Messina Denaro si lega anche alla terribile uccisione di Giuseppe Di Matteo. Si tratta di uno dei fatti di cronaca che più ha destato la reazione dell’opinione pubblica nel nostro Paese, complice la giovane età della vittima. Il piccolo di Matteo non aveva infatti compiuto nemmeno 15 anni quando fu strangolato e sciolto nell’acido perché figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo. 

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